Sección digital Otras reseñas Marzo de 2008

Paolo Bagnoli, L'idea dell'Italia. 1815-1861

Diabasis, Reggio Emilia, 2007.

Sauro Mattarelli

 

Col percorso che Paolo Bagnoli propone nel suo ultimo libro, dal titolo L'idea dell'Italia, viene presentato il dibattito sulla costruzione della nazione che anima il Risorgimento italiano, con particolare attenzione alla ricerca di un "paradigma politico-dottrinario" di tale dibattito. Per sgombrare il campo dagli equivoci, Bagnoli ha opportunamente delimitato la sua analisi al periodo della costruzione militare, politica e amministrativa, dal 1815 al 1861 (cioè dal Congresso di Vienna all'Unità d'Italia), evidenziando i principali protagonisti e i filoni di pensiero che hanno influenzato l'intero processo.

Questa strategia di studio palesa alcuni aspetti positivi e innovativi. Intanto, consente una rilettura della storia risorgimentale senza nessuna sbavatura in senso "revisionistico" o "antirevisionistico". Non che l'autore scelga una via di salomonica neutralità al riguardo: semplicemente, svolge il suo mestiere di studioso del pensiero politico ben sapendo che, tra i compiti dello storico, figurano sia quello di descrivere i fatti riconducendoli alle domande che il mondo contemporaneo impone, sia quello di farli ricordare e apprendere. "Tutto è già stato raccontato, ma siccome nessuno ascolta, bisogna ricominciare ogni volta", egli ci rammenta, al proposito, emblematicamente, attraverso le parole di André Gide.

Una disamina dunque "classica", che si avvale di strumenti interdisciplinari (storici, giuridici, sociologici) nella consapevolezza che si sta affrontando un compito che non potrà essere interamente svolto, ma che avrà, essenzialmente, lo scopo, pedagogico, di riflettere e far riflettere su uno dei tratti più controversi della storia culturale italiana: quello dell'identità, intesa "come condivisione di valori, mentalità e destino" degli abitanti del territorio proclamato "italiano" appunto nel 1861. Distinzione, quindi, tra storia della nazione, storia dello Stato, storia dell'idea di nazione. Obbligati i richiami sia alle interpretazioni di importanti studiosi novecenteschi come Piero Gobetti, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gaetano Salvemini e Federico Chabod, sia ai dibattiti degli ultimi anni. I tratti essenziali di un simile percorso sono ovviamente scanditi dal pensiero di Giuseppe Mazzini, Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini, Camillo Benso conte di Cavour, Carlo Cattaneo; dalle scelte di Giuseppe Ferrari, Giuseppe Montanelli, Carlo Pisacane, Mauro Macchi; dall'azione di una figura talora forse un po' sottovalutata, paradossalmente, come Giuseppe Garibaldi. C'è, in altri termini, una sorta di incrocio tra una storia "oggettiva", che procede "nomo-logicamente", e una storia "antropologicamente" scritta dai gesti e dalle vicende biografiche di alcuni personaggi. Nasce molto probabilmente in tale contesto la dicotomia tra la nazionalità intesa come "sentimento" e il "principio" di nazione.

Secondo Bagnoli, l'Italia, per una serie di ragioni, prende vita sotto l'impulso più del sentimento che del principio, in uno scenario ove la tradizione prevale sulla ragione, nonostante lo sforzo titanico di Cattaneo. Ne deriverebbe una "identità melliflua" (per usare l'espressione di Francesco De Sanctis), in parte frutto della confusione di Mazzini. Infatti, ad avviso dell'autore, manca, nel Genovese, la costruzione di un "sistema" di pensiero capace di emergere chiaramente dal pur nobile ondeggiare tra metafisica e repubblicanesimo. Una lettura, questa, che sembra per certi aspetti richiamarsi ad antichi cliché moderati delle aristocrazie europee, rinvigoriti dalla scuola gentiliana, piuttosto che alle più recenti riflessioni (citiamo, a puro titolo d'esempio, Salvo Mastellone, Maria Laura Lanzillo e Nadia Urbinati) che accostano Mazzini ai grandi analisti europei della democrazia e del liberalismo: da John Stuart Mill ad Alexis de Tocqueville, passando per i critici del pensiero di Karl Marx.

D'obbligo, a questo punto, rimanendo su tale invitante lunghezza d'onda (e il libro di Bagnoli ce ne dà agio), la domanda su chi siano i veri costruttori della "idea dell'Italia" che riesce ad imporsi: Mazzini? O non, piuttosto, Cavour e Casa Savoia? Cattaneo oppure il Garibaldi dell'impresa dei Mille (che Cavour considera come un suo utile strumento)? In altri termini, è utile chiedersi se ci sia, o se ci sia stata, una sola "idea dell'Italia" e se non siano invece possibili più storie (parallele, se non contrapposte) dell'idea dell'Italia. Distinguendo, magari, tra quelle che hanno maggior fortuna e successo, e quelle che, per ragioni diverse, alle quali non possiamo neppure accennare qui, risultano sconfitte. Tra queste ultime, va annotata sicuramente l'idea repubblicana di Mazzini e Cattaneo, e anche di tutti coloro che tentano di declinare la libertà, come Mill insegna, non riconducendola a "sistema". Ma va segnalata anche una "terza via" (mai veramente intrapresa) "europea": alternativa alle granitiche costruzioni marxiste, riformatrice delle storture del liberismo incontrollato, capace di uscire dalla logica asfittica delle oligarchie di notabili e dall'influenza clericale. Questa traiettoria contempla, anzi raccomanda, la religiosità, pur mantenendosi rigorosamente laica, aperta al progresso e agli apporti della scienza.

Bagnoli arresta la sua ricostruzione all'anno della morte di Cavour, il 1861. Non lo dichiara espressamente, ma forse vede nel conte di Casa Savoia, giustamente, il vero architetto della costruzione italiana. Un protagonista, però, che esce di scena, prematuramente, proprio nell'anno dell'Unità del Paese, lasciando un'eredità pesante, un senso di incompiutezza che nessuna storia controfattuale potrà dipanare. Probabilmente non ha tutti i torti Piero Gobetti a definire il Risorgimento come "il soliloquio di Cavour".

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar