Sección digital Otras reseñas Marzo de 2008

Domenico Fisichella, La democrazia contro la realtà. Il pensiero politico di Charles Maurras

Carocci, Roma, 2006. Pp. 188

Piero Venturelli

 

In questo volume, Domenico Fisichella prende in esame la teoria della politica elaborata dal pensatore e polemista provenzale Charles Maurras (1868-1952), giudicando - tutto sommato - assai meno significativo, oltre che più contingente e caduco, il suo contributo di militante nazionalista.

Il libro tocca molte delle tematiche e delle posizioni care all'autore francese, spaziando dall'ineguaglianza tra gli uomini vista come dato "naturale" all'accusa di "astrattezza" rivolta all'Illuminismo e alla Rivoluzione del 1789, dalla messa in guardia contro il sentimentalismo in politica all'importanza attribuita alla monarchia ereditaria tradizionale.

Limitandoci in questa sede a dar conto solo di alcuni aspetti del pensiero politico maurassiano affrontati nella densa monografia di Fisichella, è opportuno non passare sotto silenzio le argomentazioni svolte dallo scrittore provenzale intorno allo sviluppo, in epoca moderna, di un inedito paradigma teorico: quello che vede assolutizzata la dimensione economica dell'esistenza umana. Nel quadro interpretativo tracciato da Maurras, questa inquietante Weltanschauung sembra ormai in procinto di spazzar via definitivamente due millenni e mezzo di civiltà occidentale. Mentre la tradizione ha consegnato ai popoli europei un mondo nel quale, da una parte, era la politica a rappresentare la dimensione della generalità e, dall'altra, veniva riconosciuto un ruolo fondamentale alla sfera della trascendenza, nel corso degli ultimi secoli è andata progressivamente crescendo senza controllo, secondo il pensatore francese, un'economia finanziaria il cui potere investe sia l'ambito "temporale" sia quello "simbolico". Come sintetizza Fisichella, ciò crea "forti concentrazioni di risorse finanziarie difficilmente controllabili anche in termini di allocazione territoriale", e interferisce "pesantemente non soltanto nella competizione politica ed elettorale, ma altresì nell'intero sistema dei mezzi di comunicazione di massa, a loro volta influenti sui processi elettorali e sulla vita politica generale" (p. 160).

Maurras individua altre preoccupanti conseguenze di questa rapida espansione dell'economia finanziaria: il moltiplicarsi degli attacchi contro l'economia produttiva da parte dei mezzi d'informazione, i quali risultano sempre più in balìa del nuovo dio Denaro; il radicarsi di atteggiamenti politici di stampo demagogico; la diffusione del culto, laico e mondano, del "progresso"; la nascita di una nuova specie di uomo economico, che l'autore provenzale definisce meteco, trasformando il métoikos - l'antico uomo libero che svolgeva attività prevalentemente commerciali e professionali all'interno della pólis greca, e la cui condizione di forestiero non gli permetteva di godere della cittadinanza politica (ma lo obbligava a pagare talune tasse) - in una sorta di "apolide economico, un senza patria e senza cittadinanza che si muove nei vasti mercati del globo non avendo altro interesse che il proprio particolare interesse, il profitto come misura di tutte le cose, e altro bersaglio principale che le culture e le strutture tradizionali" (ibid.). Secondo Maurras, insomma, è in atto il tragico capovolgimento della tradizione occidentale: laddove un tempo l'economia era definita e considerata come il regno dei mezzi, ora essa sta diventando l'unico fine della storia. E ad aggravare la situazione, egli osserva, è l'"invisibilità" della ricchezza finanziaria, che sfrutta questo suo carattere per concentrarsi sempre più smisuratamente senza attirare su di sé troppi interrogativi e sospetti da parte degli individui e delle società.

Insieme col disprezzo di ogni identità culturale e civile, questo tentacolare reticolo di apolidi (con la sua coorte di tecnocrati, bancocrati e opinion makers) rivela un'indomita propensione a sfruttare la politica - e con essa lo Stato - per i propri scopi, nonché una singolare avversione per la religione cattolica, un odio e un'ostilità che Maurras imputa al fatto che i meteci moderni sono consapevoli che essa costituisce il primo dei poteri effettivamente capaci di tener testa al culto del dio Denaro e alle nascenti plutocrazie. Quello che oppone apolidi e cattolicesimo, sostiene l'autore francese, è uno scontro decisivo tra la forza materiale e la forza spirituale, da cui uscirà vincitore l'uomo-bestia ovvero l'uomo tradizionale, l'individuo abbruttito e livellato verso il basso ovvero l'individuo che reca ancora con sé alti valori morali, estetici e intellettuali.

In Maurras, la veemente difesa del cattolicesimo passa anche attraverso una serie di duri attacchi all'ebraismo, religione che egli accusa di aver propugnato per secoli una visione del mondo cosmopolita e un modello umano dedito essenzialmente alle speculazioni affaristiche. La stessa formazione delle "eresie" protestanti e del diffondersi del deismo deve molto, nella sua interpretazione, a questi aspetti anarchici e internazionalistici della mentalità giudaica.

Il pensatore provenzale afferma che uno dei meriti grandi del cattolicesimo consiste nell'aver saputo "organizzare" l'idea dell'Essere divino: infatti, "[s]ul cammino che conduce a Dio, il cattolico trova legioni di intermediari: terrestri o sovrannaturali, santi o beati o figure esemplari, la catena dagli uni agli altri è continua"; in questo modo, rimanendo all'interno di una prospettiva monoteistica, l'universo conserva "il suo carattere naturale di molteplicità, di armonia, di composizione" (pp. 61-62). Anche se "Dio parla nel segreto di un cuore cattolico, le sue parole sono controllate e come convalidate dai dottori, guidati a loro volta da un'autorità superiore, la sola che sia senza appello, conservatrice infallibile della dottrina: e tale legame complesso, con le sue mediazioni, feconda la tradizione" (p. 62).

Sennonché, Maurras ritiene necessario rispondere alla crisi del paradigma tradizionale non soltanto sul piano religioso: egli, infatti, propone anche il ripristino della centralità della politica. In che senso è da intendersi questo suo recupero? Innanzitutto, ad avviso dell'autore provenzale, non può darsi alcuna società, vale a dire aggregazione organizzata, senza regole di ordine politico, senza sovranità. Non è un contratto tra singole volontà individuali a fondare una società, bensì "un idem sentire che ha la sua proiezione nel riconoscimento di un comune interesse politico" (p. 49). Entro questo quadro, "[l]o Stato rappresenta una delle forme istituzionali in cui si è espressa nel tempo questa convergenza della società e del suo nucleo costitutivo di ordine sovrano" (ibid.). La mano pubblica dev'essere limitata al proprio ruolo specifico, a ben definite competenze e attribuzioni: "vi è una divisione del lavoro che riconosce autonomia costitutiva alla società civile nelle sue plurime e pluralizzate articolazioni e nei suoi meccanismi sia decisionali sia di selezione delle rispettive dirigenze" (p. 140).

Come si vede, Maurras si fa portabandiera di un primato esclusivamente regolativo della politica, attribuendo a quest'ultima la funzione di ordinare la comunità e, allo stesso tempo, di includere e riconoscere tra le proprie regole l'autonomia tendenziale della società civile. Tale posizione mette in luce la distanza dell'autore francese dal panpoliticismo, secondo cui tutto è politica, tutto è politico: allo Stato, infatti, egli non esita a proscrivere l'intervento in prima persona nei diversi campi in cui si esprime la vita individuale e collettiva.

Maurras è convinto che solo un tipo di regime politico possa confarsi all'emergente mondo dei meteci: la democrazia. Essa viene descritta come una sorta di "luogo naturale" della confusione e dell'irragionevolezza, dove non esistono argini alla passionalità umana e alle folli pretese degli elementi peggiori della comunità; tutto, nella democrazia, è continuamente dibattuto e messo in discussione senza che venga riconosciuto un terreno valoriale condiviso, onde è impossibile dar vita ad una pace interna che risulti duratura. Nel quadro teorico maurassiano, questa condizione d'instabilità, nella quale "lo Stato non ha mai tregua, il governo non ha mai serenità" (p. 120), è la necessaria conseguenza di un sistema che prevede non solo che tutti comandino e tutti obbediscano, ma pure che i cittadini vengano sovente chiamati ad esprimere un'opinione attraverso il voto su questioni che essi avvertono come lontanissime o che ignorano.

Non c'è bisogno di spingersi oltre nell'analisi del regime democratico, secondo l'autore francese, per avvedersi che gli ideali della sovranità popolare, del governo dei cittadini e della maggioranza numerica sono fallaci. A suo avviso, un osservatore attento capisce subito che la democrazia incarna la resa di fatto della politica nella sua forma più autentica: proprio perché privo di veri princìpi, nemico della gerarchia e passionale per definizione, questo regime si rivela terreno fertile per quelle derive oligarchico-economicistiche che, se non arrestate in tempo, finiscono col rendere del tutto inscalfibile il dispotismo del dio Denaro.

Condannata senz'appello la democrazia, il pensatore francese viene a riporre nella monarchia, specie nella sua versione ereditaria, molte delle proprie speranze di salvare la fisionomia tradizionale dell'Occidente. Quali sono i caratteri che, nella visione di Maurras, rendono il regime monarchico superiore a quello democratico?

Egli, in primo luogo, vede nella democrazia il trionfo del disordine e dell'emotività, mentre riconosce alla monarchia gli encomiabili caratteri dell'efficienza (perché sa valorizzare tutte le risorse della nazione) e dell'autonomia (in quanto essa impersona una vera autorità). Nel regime monarchico, in secondo luogo, pur in presenza dell'ineliminabile scontro tra istanze particolari a livello della società civile, "l'interesse generale trova un suo spazio garantito e protetto in una istituzione che, non dipendendo dal voto, evita l'intersecazione tra le linee di competizione o addirittura conflitto tra le parti attive nella realtà socio-politica e la linea di competizione o persino conflitto che inevitabilmente si manifesta periodicamente per la designazione elettiva del Capo dello Stato" (p. 111).

Maurras, in terzo luogo, ritiene l'istituzione regia più "attenta alla dinamica di processi sociali e politici" e, quindi, "in grado di [...] attivare procedure di correzione e anche autocorrezione [...] per mantenere o ricondurre, mediante meccanismi di feedback, contrasti e deviazioni e conflitti entro limiti della tollerabilità sistemica" (p. 112). Il regime monarchico, inoltre, "consente che le condizioni di travaglio siano affrontate a costi minori per la comunità, non foss'altro perché esclude a priori una linea di conflitto e quindi mantiene un'arena super partes o comunque extra partes, vale a dire quella relativa alla designazione al vertice dello Stato e alla sua successione" (ibid.).

Qualora, infine, si profili uno di quei passaggi assolutamente cruciali della vita pubblica che Carl Schmitt definisce "stati di eccezione", la presenza della monarchia consente di affrontare un simile caso estremo in modo "meno traumatico, meno rischioso, meno giuridicamente lacerante, meno imprevedibile nei suoi esiti": a giudizio di Maurras, ciò è reso possibile dal fatto che "pure in un momento di tale e tanta drammaticità e sbandamento le strutture della statualità, militari e civili, hanno comunque nella sovranità regia un punto di riferimento percettibile e un simbolo di continuità istituzionale immediatamente riconoscibile" (ibid.).

I pochi aspetti delle concezioni maurassiane su cui si è potuto in questa sede attirare l'attenzione, dimostrano come l'autore francese sia a tal punto proiettato verso il superamento del dato congiunturale, che appare innegabile che spesso i suoi sforzi analitici gli consentano effettivamente di travalicare la mera predisposizione di argomenti per la lotta di parte. Il libro di Fisichella ha il merito grande di mettere in luce come, Maurras vivente, ciò risultasse già chiaro, benché questo aspetto sia divenuto ancora più palese negli ultimi decenni, in un'epoca di incertezze nella quale la profonda crisi delle democrazie post-moderne sta mettendo a nudo le loro intime contraddizioni e la crescente incapacità di resistere a molti degli urti interni ed esterni a cui esse sono soggette.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar