Sección digital Otras reseñas Abril de 2008

Domenico Felice (a cura di), Libertà, necessità e storia. Percorsi dell'"Esprit des lois" di Montesquieu

Bibliopolis, Napoli, 2003. Pp. 332

Piero Venturelli

 

La presente pubblicazione collettanea sull’Esprit des lois (1748), progettata e curata da Domenico Felice, si compone di sei saggi critici, uno per ciascuna delle sei “parti” in cui Montesquieu ha suddiviso il suo capolavoro. In particolare, Thomas Casadei incentra il proprio contributo sulla parte prima (libri I-VIII), Domenico Felice sulla seconda (IX-XIII), Carlo Borghero sulla terza (XIV-XIX), Salvatore Rotta sulla quarta (XX-XXIII), Lorenzo Bianchi sulla quinta (XXIV-XXVI), Umberto Roberto sulla sesta (XXVII-XXXI). I “percorsi” di lettura offerti da questi studiosi toccano tematiche fondamentali dell’opus magnum montesquieuiano e – allo stesso tempo – numerosi nodi cruciali della modernità, spaziando dai presupposti dello sviluppo economico nazionale al processo di laicizzazione dello Stato, dal concetto di libertà politica ai compiti del legislatore, dalla filosofia penale al ruolo dell’esprit germanico nella costruzione dell’identità europea.

Nell’intervento che apre il volume, Modelli repubblicani nell’“Esprit des lois”. Un “ponte” tra passato e futuro (pp. 13-74), Thomas Casadei mette in luce come il pensatore francese ricorra al procedimento analitico induttivo per codificare i suoi modelli “ideali” di repubblica, monarchia e dispotismo, e come costruisca il “tipo” repubblicano (nella sua variante democratica) principalmente a partire da governi storici illustri quali Atene, Sparta e Roma. Questa inclinazione montesquieuiana a soffermarsi su realtà politico-costituzionali del passato, insieme con il giudizio alquanto duro espresso più volte intorno alle aristocrazie italiane del XVIII secolo, ha generato interpretazioni critiche sostanzialmente concordi nel ritenere il barone di La Brède un autore oltremodo scettico dinanzi alla possibilità di attualizzare le forme repubblicane.

Attraverso un costante richiamo ai testi di Montesquieu e di pensatori suoi contemporanei e successivi, Casadei punta ad arricchire le prospettive analitiche correnti dando prova di come il filosofo bordolese venga in realtà a rappresentare un tramite essenziale della diffusione di idee repubblicane in epoca moderna: da un lato, infatti, il Président offre robusti motivi di riflessione sul repubblicanesimo antico, la cui concezione monistica della sovranità e del potere sarà accolta dai giacobini; dall’altro, teorizzando una sorta di liberal republicanism avanti lettera, egli promuove la creazione di una forma “moderna” di repubblica, pluralista e commerciale, basata sulla rappresentanza e rispettosa degli interessi privati (da tale punto di vista, non è certamente un caso che, negli anni della Rivoluzione americana, Montesquieu divenga l’autore più studiato e discusso dai costituenti).

Nel suo saggio, che s’intitola Autonomia della giustizia e filosofia della pena nell’“Esprit des lois” (pp. 75-136), Domenico Felice affronta i temi della filosofia penale e del potere giudiziario nell’opus maius di Montesquieu. Due sono i generi fondamentali di libertà politica riconosciuti dal barone di La Brède: la liberté de la constitution e la liberté du citoyen, rispettivamente analizzate nei libri XI e XII del suo capolavoro. La “libertà della costituzione” viene garantita dall’autonomia del potere giudiziario (conditio sine qua non della moderazione e della libertà), vale a dire dalla sua collocazione in organi diversi da quelli presso cui sono allogati i poteri legislativo ed esecutivo; la “libertà del cittadino”, invece, dipende in larga misura dalla bonté delle leggi criminali. Secondo Montesquieu, la compresenza della liberté de la constitution e della liberté du citoyen, condizione – questa – del tutto sconosciuta fuori dell’Europa, rende “libero” il cittadino sia “di fatto” sia “di diritto”.

Approfondendo, nel contributo dal titolo Libertà e necessità: clima ed “esprit général” nell’“Esprit des lois” (pp. 137-201), il tema centrale della parte terza del capolavoro montesquieuiano (il rapport fra le leggi e l’esprit général di una nazione), Carlo Borghero amplia l’orizzonte analitico e opera una meticolosa ricognizione di tutti i testi pervenutici del filosofo settecentesco, allo scopo di valutare il peso che di volta in volta viene attribuito al physique nell’esistenza umana. Se già nelle sue manifestazioni precoci l’interesse del barone di La Brède per l’influenza esercitata dai fattori fisici sul corpo umano e sul génie (ossia, sul temperamento e sul carattere) risulta alieno da prospettive materialistiche implicanti un rigido determinismo climatico, è solamente a partire da due scritti della maturità, le Considérations sur les Romains (1734) e l’Essai sur les causes (1736-1743), che egli accredita la tesi secondo cui il ruolo delle cause morali va acquistando sempre più importanza a mano a mano che ci si allontana dalle condizioni originarie dell’umanità.

Inoltre, nei libri XIV e XIX dell’Esprit des lois, interrogandosi sui compiti del legislatore e sulle sue reali possibilità di contenere i mali del climat e di modificare le inclinazioni naturali di un popolo, Montesquieu sostiene – come sintetizza Borghero – che “è possibile trasformare un vizio naturale in un pregio sociale, purché ci si serva di mezzi anch’essi naturali e conformi al carattere nazionale” (p. 173). In altri termini, “[i]l legislatore non deve essere uno spectateur tranquille, bensì un uomo saggio che si preoccupa della salute dei cittadini e agisce conoscendo la situazione e l’efficacia dei mezzi adoperati per risolvere il problema” (ibid.).

Ad approfondire le questioni demografiche ed economiche emergenti nella parte quarta dell’Esprit des lois e in altri testi montesquieuiani, e a collocarle nel contesto del dibattito settecentesco, è rivolto lo studio di Salvatore Rotta, intitolato Demografia, economia e società in Montesquieu (pp. 203-241). Al di là dei limiti oggettivi di non poche analisi compiute in materia dal filosofo bordolese, uno dei suoi meriti più significativi consiste nell’aver intuito – scrive Rotta – che “aree economicamente differenziate presentano caratteristiche demografiche diverse” (p. 220).

Trattando dello Stato monarchico, che si fonda sul lusso, Montesquieu propone un altro punto di vista interessante: un’economia di sussistenza non offre il minimo vitale a una popolazione troppo numerosa, onde è necessario prevedere un sovrappiù agricolo che, rendendo possibile ai coltivatori l’acquisto di una certa quantità di beni “superflui” d’origine manifatturiera, favorisca lo sviluppo economico della nazione. Tuttavia, per scongiurare catastrofici e incontrollabili rivolgimenti sociali, egli ritiene che il vero e proprio consumo di lusso debba rimanere appannaggio esclusivo del ceto aristocratico, che vive della rendita fondiaria.

Il saggio di Lorenzo Bianchi è incentrato sul tema della religione nel libro XXVI dell’Esprit des lois. In questo contributo, dal titolo Leggi divine e leggi umane. Note sulla religione nel libro XXVI dell’“Esprit des lois” (pp. 243-275), lo studioso mostra come Montesquieu ammonisca a non confondere le leggi umane con quelle divine. Inoltre, parlando da politico (e non da teologo), il pensatore francese attribuisce la preminenza al diritto positivo, perché lo considera utile alla collettività nel suo insieme; viceversa, l’esigenza individuale di salvezza, propria delle pur rispettabili leggi della religione, gli sembra talora distante dai concreti bisogni della società umana. La sua indagine sul conflitto fra leggi civili e leggi religiose trova un esito ideale e programmatico nei due capitoli dedicati all’Inquisizione (XXVI, 11 e 12), dove viene fatto valere il primato della giustizia umana e delle sue regole, e dove si ribadisce la necessità di separare la sfera temporale da quella spirituale per sconfiggere l’arbitrio e il pregiudizio.

La parte sesta dell’Esprit des lois è oggetto dello studio conclusivo di Umberto Roberto, intitolato Montesquieu, i Germani e l’identità politica europea (pp. 277-322). In quella sede, il barone di La Brède si fa storico dell’identità culturale e politica europea, manifestando un interesse capitale per il passato del mondo germanico e per la formazione dei regni romano-barbarici. Precisa Roberto che, “[r]ecuperando lo spirito dell’umanesimo tedesco di una translatio imperii in Germanos, i Germani di Montesquieu appaiono come un’esperienza storica nuova, come una forma capace di ricondurre l’Europa alla sua vera vocazione di libertà” (p. 316).

L’esame approfondito dei documenti giuridici risalenti al principio dell’Alto Medioevo porta il filosofo bordolese a individuare una tipologia bipartita dei generi d’insediamento creatisi fra Germani conquistatori e popoli assoggettati: a suo parere, la costituzione dei regni romano-barbarici segue inevitabilmente o la strada battuta dai Visigoti, che scendono a compromessi con l’eredità del “dispotismo” tardo-romano, o il modello tipico dei Franchi, inclini alla conquista sanguinosa e alla conservazione dei caratteri più selvaggi dell’esprit germanico. E della storia del regno dei Franchi Montesquieu fornisce una lunga ed accurata ricostruzione (libri XXVIII, XXX e XXXI), non mancando d’intervenire nella coeva querelle sull’origine della monarchia e del diritto pubblico francesi.

Come ben testimonia l’assoluta rilevanza degli argomenti affrontati nei saggi di questa miscellanea, l’Esprit des lois rappresenta non solo il primo tentativo di fondare una “sociologia” universale dei sistemi politici e un testo “classico” della cultura liberale e costituzionale, ma anche una delle trattazioni più acute e influenti mai dedicate alla nascita storica del comune sentire europeo, cioè di quel complesso “morale” e “culturale” capace di trascendere il nudo dato geografico.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar