Sección digital Otras reseñas Abril de 2008

Dimitri D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber

Carocci, Roma, 2005. Pp. 347

Piero Venturelli

 

Dinanzi alla grave crisi che la politica sta vivendo nelle società contemporanee avanzate e che appare in larga misura riconducibile alla crescente incapacità del mondo occidentale a mettere in scena conflitti su progetti orientati a valori, Dimitri D’Andrea interroga i testi di Max Weber (1864-1920) alla ricerca di diagnosi filosofiche e rimedi normativi che possano rispondere in maniera calzante all’odierna difficoltà di “far intervenire nella decisione [politica] criteri altri dalla razionalità tecnico-amministrativa, dalla massimizzazione del benessere e delle possibilità secondo criteri latu sensu economici” (Introduzione, p. 13). La considerevole ricchezza del libro in esame, tuttavia, è ben lungi dall’esaurirsi qui: D’Andrea, infatti, non solo ha cura di sottoporre a minuziosa indagine critica la proposta normativa weberiana e di valutarne l’attualità per gli individui e le collettività del Duemila, ma si dedica anche all’approfondimento della complessa ricostruzione della traiettoria della modernità che l’autore tedesco consegna ai suoi testi.

Nell’ambito della narrazione weberiana del moderno, articolata in quattro momenti fondamentali – protomodernità, modernità eroica, modernità matura e tarda modernità –, la forma di soggettività del puritano viene – com’è noto – a rivestire un ruolo di primaria importanza. L’individualismo ascetico proprio di questa figura concorre a promuovere un cambiamento decisivo, a partire da motivazioni etico-religiose, della mentalità e dell’approccio verso la scienza, l’autorità, lo Stato e l’economia, e fa entrare la modernità nella sua fase “eroica”, contraddistinta dalla massima espansione delle capacità innovative di un individuo che, in quel periodo storico, si trova di fronte ai presupposti sia materiali sia ideali per affermare la propria libertà.

Se la promozione del successo dell’agire intramondano e la creazione del profitto finalizzata al suo reinvestimento, se l’elogio della competizione tra gli attori economici e l’avversione per una destinazione di carattere edonistico della ricchezza, elementi – questi – indispensabili allo sviluppo del modo di produzione capitalistico, trovano senza dubbio nei puritani ferventi testimoni e portabandiera, è altresì vero che, come mostra con dovizia di particolari D’Andrea analizzando l’opera weberiana, il radicamento della nuova mentalità imprenditoriale attraverso i loro diuturni sforzi terreni costituisce un aspetto paradossale del puritanesimo. Quest’ultimo, infatti, mentre si prefigge di dominare il mondo sulla base di motivazioni religiose, addita e si serve costantemente di modelli di condotta che ripudiano i valori tipici dell’etica religiosa, a cominciare da quello, rilevantissimo, della fratellanza. A ben vedere, come osserva D’Andrea, non manca che un passo per svincolare il capitalismo da quello che ne è stato l’originario spirito religioso. Ed è proprio attraverso lo sganciamento della condotta economica da ogni riferimento alla dimensione trascendente che, a giudizio di Weber, si colloca il passaggio alla fase “matura” della modernità: a partire dagli ultimi decenni del XVIII secolo, infatti, egli riconosce il venir meno in Europa del senso dell’agire economico e – allo stesso tempo – la comparsa di un’inedita “gabbia d’acciaio” economica, basata sulla logica impersonale e “meccanica” di un’economia capitalistica che ha ormai preso le distanze da ogni valore “eroico”.

Secondo la ricostruzione del filosofo tedesco, ad uno stadio “maturo” della modernità segue una fase “tarda”. Egli ravvisa in quest’ultima, a lui coeva, la tendenza alla progressiva perdita della libertà non più solo economica, ma anche politica e soggettiva. Nell’interpretazione weberiana, a generare una “gabbia d’acciaio” ancor più angusta di quella che ha imprigionato fino ad allora gli abitanti dei Paesi occidentali, contribuisce la sempre crescente convinzione dell’“assenza di Dio”, cioè della Sua estraneità al mondo. Alla crisi della fede nella redenzione e alla conseguente caduta di una garanzia incontestabile di congruità fra destino e merito per la vita individuale, si accompagna la significativa rinascita del politeismo, che impone ad ogni singolo individuo di compiere scelte etiche senza poter più contare su un orientamento etico univoco.

Nella tarda modernità, a giudizio di Weber, la vera politica può ancora rispondere ad una domanda di senso e differenziarsi tanto dalla burocrazia, che è vincolata ad una mera logica del possibile e dell’adattamento, quanto dalla Machtpolitik, cioè dalla politica diretta all’acquisizione della mera potenza fine a se stessa. Nondimeno, è sua convinzione che, per conseguire quest’obiettivo, la politica debba dotarsi di un’etica che sia il risultato di un “reciproco completamento” dello “stile” gesinnungsethisch e di quello verantwortungsethisch. In una dimensione caratterizzata da una mancata coincidenza di merito e destino, cioè da un’irrazionalità etica dell’unico mondo esistente, risulta insufficiente e – insieme – pericoloso, secondo il filosofo tedesco, assolutizzare l’uno ovvero l’altro dei due antitetici modelli normativi, rappresentati dall’etica dell’intenzione (Gesinnungsethik) e dall’etica della responsabilità (Verantwortungsethik).

L’etica dell’intenzione è descritta da Weber come un’etica della pura razionalità rispetto al valore: attribuendo una qualità etica all’azione in se stessa, considerata senza interesse per le conseguenze e senza capacità legittimante dello scopo, il fine non può mai giustificare i mezzi. La Gesinnungsethik è un’etica che disprezza il mondo, un’etica della testimonianza e dell’interiore fedeltà a se stessi che si limita ad attraversarlo; non si prefigge scopi e valuta l’azione soltanto in base al suo senso (Sinn). L’etica dell’intenzione presuppone una prospettiva trascendente: deve postulare l’esistenza di un altro mondo in cui l’irrazionalità etica di questo – l’ingiustizia, la sofferenza immeritata, il torto impunito – sarà superata e compensata; senza fede nella redenzione, quindi, la Gesinnungsethik diviene razionalmente incomprensibile.

L’autore tedesco, specularmente, mostra come l’etica della responsabilità sia quella propria “di chi agisce come se questo fosse l’unico mondo che abbiamo” (p. 293). Il valore etico dell’azione viene misurato a partire dalle conseguenze che essa produce nel mondo: è, dunque, l’esito – voluto o non voluto – cagionato dall’azione il criterio esclusivo che ne decide il valore etico.

Secondo Weber, la Verantwortungsethik costituisce il solo orientamento etico coerente in un’epoca priva di Dio. Sennonché, la sua proposta normativa prevede che si ponga rimedio, attraverso l’integrazione di un atteggiamento gesinnungsethisch, al principale limite dell’etica della responsabilità, che consiste nell’accettazione anche dell’azione moralmente più riprovevole, pur di scongiurare un male maggiore. Il recupero della Gesinnungsethik permette, così, alla politica – ad un tempo – di rispettare un limite etico assoluto e di non appiattirsi sull’esistente.

Nonostante dall’applicazione di questa sua proposta normativa Weber si attenda buoni esiti, egli percepisce una spaventosa minaccia incombente sul futuro dell’umanità: la nascita di un particolare tipo di soggettività, quello degli “ultimi uomini”, vale a dire di individui “sazi”, distanti da una politica intesa nella sua dimensione etica e conflittuale, interessati solo al perseguimento del benessere materiale e incapaci di porsi domande sul senso della vita.

D’Andrea, però, ricorrendo ad argomentazioni assai lucide e persuasive, contesta all’approdo teorico weberiano di non tenere in adeguato conto che già nella fase tardo-moderna, dunque ben prima dell’ipotetico avvento degli “ultimi uomini”, il mondo non può più disporre di soggettività in grado di unire etica della responsabilità ed etica dell’intenzione. Come osserva D’Andrea, ciò è dovuto al fatto che assumere un atteggiamento gesinnungsethisch risulta ormai impossibile in un orizzonte nel quale sia venuta meno la dimensione della trascendenza. Nell’epoca dell’unicità del mondo e dell’assenza di Dio, infatti, si sono elevati di molto i costi delle scelte etiche, al punto da far perdere all’esperienza etica gran parte delle sue attrattive e da rendere, quindi, pressoché inevitabile la tendenza sia del singolo individuo sia della politica all’adattamento al mondo e alla sua logica.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar