Sección digital Otras reseñas Abril de 2008

Mario Ricciardi e Corrado Del Bò (a cura di), Pluralismo e libertà fondamentali

Giuffrè, Milano, 2004. Pp. 188

Piero Venturelli

 

L’opera riunisce i testi presentati originariamente nel corso di un ciclo di seminari organizzato dalla cattedra di “Teoria generale del diritto” dell’Università “C. Cattaneo” di Castellanza, in provincia di Varese. Gli autori dei contributi, ciascuno adottando un punto di vista specifico, indagano le diverse facce del pluralismo – culturale, morale, sociale – e si interrogano sulle possibilità di rinvenire, in particolare nell’ambito del liberalismo contemporaneo, uno spazio teorico per la tutela delle comunità culturali e, allo stesso tempo, degli individui che le compongono. Il recente sviluppo internazionale di una copiosa varietà di prospettive di analisi intorno a tali questioni, ha suggerito a Maria Paola Ferretti di redigere, in appendice al volume, una assai utile bibliografia orientativa sulle problematiche e sui nodi concettuali affrontati – o anche solo lambiti – nei diversi contributi (Pluralismo e libertà fondamentali. Una bibliografia ragionata, pp. 197-208).

In Tre modi di intendere le differenze culturali (pp. 5-30), il primo saggio della raccolta, la stessa Ferretti discute il ruolo che riveste la tolleranza nella definizione di una soddisfacente forma di compatibilità tra liberalismo e pratiche culturali. Muovendo dagli importanti studi di Brian Barry, l’autrice prende in esame tre differenti modalità secondo cui gli Stati occidentali possono relazionarsi con le minoranze culturali: gli approcci interventista, incorporazionista e neutralista.

I fautori della soluzione interventista – da Ian Shapiro a Susan Okin, da Yael Tamir a Katha Politt – sostengono che “difendere gli ideali liberali significa dare priorità ai diritti individuali rispetto a quelli della comunità e concedere diritti ai gruppi solo nei casi in cui questi effettivamente contribuiscono a migliorare le condizioni individuali delle persone (la loro libertà, la loro autonomia, il rispetto di sé)” (p. 8); l’obiettivo è di superare quelle pratiche tradizionali che perpetuano le disuguaglianze di potere all’interno delle comunità culturali. Autori incorporazionisti come Bhikhu Parekh e Robert Post, invece, patrocinano una versione “forte” del multiculturalismo, proponendo di integrare nelle leggi dello Stato le regole che governano i diversi gruppi culturali, così da formare una “comunità delle comunità”. A metà strada fra l’interventismo e l’incorporazionismo, la prospettiva neutralista di Barry si fonda sul valore liberale dell’eguaglianza ed è caratterizzata dall’assimilazione dei gruppi culturali alle libere associazioni: se il potere politico non può legittimamente ingerirsi nel contenuto delle regole specifiche a cui i membri hanno aderito volontariamente, lo Stato è tuttavia tenuto a adoperarsi per proteggere gli interessi dei minori e degli individui non-autonomi, per negare effetto legale a regole etiche amministrate da autorità religiose, per garantire che i membri di un certo gruppo abbiano la possibilità – anche economica – di lasciare liberamente l’associazione qualora lo decidano.

Facendo emergere via via i pregi e i limiti di questi tre approcci, l’autrice sottolinea la necessità per uno Stato liberale di rendere possibile, nell’ambito di un sistema di diritti fondamentali non negoziabili, il libero confronto delle pratiche culturali emergenti con quelle dominanti. Nella sua visione, affinché alle minoranze venga riconosciuta la “capacità di contribuire in maniera innovativa al dibattito pubblico sulle regole di come vivere insieme” (p. 29), è indispensabile che ogni contesto culturale sia considerato dai cittadini e dal potere politico alla stregua di “una sorta di laboratorio sociale in cui vengono sperimentate nuove soluzioni di vita” (p. 26).

Lungo queste direttrici d’indagine si inserisce Giustizia procedurale e pluralismo dei valori (pp. 31-55), studio che Emanuela Ceva dedica al problema dell’elaborazione di una teoria della giustizia che sappia “gestire una molteplicità di visioni normative del mondo radicalmente differenti e generalmente indifferenti le une alle altre” (pp. 38-39). Un’accurata ricognizione delle teorie procedurali della giustizia indicate da John Rawls, porta l’autrice sia a mettere in risalto le lacune delle concezioni perfetta e imperfetta, “che sembrano essere in realtà due casi di giustizia sostantiva” (p. 49), sia a proporre una serie di modifiche alla forma impura di proceduralismo tratteggiata dal filosofo americano, così da rendere la nuova opzione – definita pura – “ben strutturata” e “altamente inclusiva”, cioè in grado di spingersi oltre l’ambito del mero pluralismo “ragionevole” e ridurre le occasioni di conflitto generate dai portatori di istanze eterogenee che non manifestano alcuna propensione all’intesa.

Le argomentazioni che Corrado Del Bò consegna al testo Pluralismo e questioni bioetiche (pp. 57-78), mirano a fornire un contributo alla “definizione di una prospettiva filosofica che realizzi l’obiettivo di depurare – per quanto possibile – la discussione bioetica pubblica dall’influsso delle dottrine morali comprensive e dai corollari morali, religiosi e filosofici” (p. 78). A giudizio dell’autore, il liberalismo politico, se intende essere una proposta normativa, non può evitare di pronunciarsi su temi come l’aborto e l’eutanasia, benché ad esso non venga preclusa la facoltà di “sfoltire l’agenda dagli argomenti che, dato il fatto del pluralismo, non sono ammissibili per risolvere le questioni bioetiche” (p. 60).

Nel saggio intitolato Amicizia e politica: un tentativo di ricostruzione (pp. 79-97), Gianfrancesco Zanetti approfondisce i caratteri della nozione aristotelica della philía, con l’obiettivo di trarne argomenti in grado di arricchire l’odierno dibattito sul liberalismo. Secondo lo studioso, il fraintendimento dei testi classici ha portato a concepire tout court l’amicizia come se essa fosse costitutivamente in opposizione al pluralismo e al conflitto, laddove illustri autori greci avevano già ben chiaro il potenziale “tragico” inerente alla molteplice varietà di forme assunte dalla philía e reputavano la contesa fra i valori una condizione indispensabile al “fiorire” della vita pubblica. Zanetti, pertanto, ritiene legittimo – e particolarmente fruttuoso – prendere in esame l’“impatto che una comprensione corretta della nozione aristotelica dell’amicizia potrebbe avere sui problemi di diritto e morale che scaturiscono dalla nuove forme di pluralismo sociale” (p. 81).

Il contributo di Elvio Baccarini, Culturalismo liberale. Tutela delle minoranze e autonomia (pp. 99-131), analizza la proposta di Will Kymlicka di affidare al liberalismo il compito di proteggere i diritti dei gruppi culturali al livello dei princìpi primi della giustizia, cioè nella forma di diritti fondamentali, allo scopo d’impedire l’assimilazione delle minoranze da parte della comunità maggioritaria. Se, dal punto di vista normativo, la conclusione dello studioso è prossima a quella di Kymlicka, nondimeno – a suo parere – “la tutela dell’appartenenza culturale originaria, in riferimento all’esercizio dell’autonomia, ha un’importanza (spesso) inferiore rispetto a quella che le attribuisce questo autore” (p. 100).

Mario Ricciardi, invece, offre una serie di chiarimenti su come si origina la coscienza nazionale e sul ruolo che essa svolge nell’identità individuale. Nel testo Identità nazionale e pluralismo (pp. 133-161), confrontandosi con le celebri tesi di Isaiah Berlin, egli punta a dimostrare che molti dei pregiudizi negativi dei liberali verso l’identità nazionale sono teoreticamente infondati.

“Diritti in bilico”: i diritti sociali tra riconoscimento e oscuramento (pp. 163-196) è il titolo del saggio che chiude la raccolta. In questo contributo, Thomas Casadei affronta il problema della giustificazione teorica e del riconoscimento giuridico dei diritti sociali, operando una ricognizione analitica dei diversi punti di vista sull’argomento e mettendo in rapporto tale complessa questione con i nodi, pratico-politici, del pluralismo sociale. Mentre gli autori statunitensi sono tradizionalmente contrari alla “costituzionalizzazione” e alla “giustiziabilità” di questi diritti, tanto che la Costituzione federale non riconosce alcun carattere sociale allo Stato, nel Vecchio Continente è diffusa e radicata l’inclinazione a ritenere pressoché ovvia “una connessione e reciproca implicazione tra libertà ed eguaglianza sociale […] negli spazi di una democrazia intesa come ambito di espressione delle diverse forme di cittadinanza attiva” (p. 174). Osserva Casadei che quest’ultimo orientamento teorico si riflette nelle varie Carte costituzionali europee, specialmente in quella italiana, che attribuisce considerevole importanza ai luoghi e ai legami sociali – dalla famiglia alla scuola, dal lavoro all’ambiente di vita personale e collettiva – nei quali e mediante i quali il singolo individuo si fa persona, esprimendosi come tale. Di queste “relazioni esistenziali i diritti sociali costituiscono la trama di valore che, per il contenuto assiologico che le è proprio, è superiore allo Stato e ne vincola le funzioni, ponendosi così come il fondamento dei diritti costituzionali, inviolabili nel loro contenuto essenziale, nei quali consiste, insieme alle libertà civili e ai diritti fondamentali del singolo, la costituzione pluralistica della società” (p. 176).

Nel loro complesso e anche grazie all’intreccio di rimandi e connessioni che li lega, i sette testi contenuti nell’opera offrono, attraverso l’impiego di strumenti e argomenti normativi, delucidazioni e risposte significative intorno a problematiche di grande rilevanza, sia teorica sia pratica, peculiari delle società contemporanee, sempre più orfane dell’illusione dei valori condivisi.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar