Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades | Sección digital
Sección digital Otras reseñas Mayo de 2008
Giuseppe Astuto, Io sono Crispi. Adua, 1° marzo 1896: governo forte. Fallimento di un progetto.
Il Mulino, Bologna, 2005. Pp. 210.
Giorgio E. M. Scichilone
"Un giorno io domandavo a Crispi: siete voi mazziniano? – No, mi rispose egli. – Siete voi garibaldino? Neppure, ei replicò. – E chi siete voi dunque? – Io sono Crispi”. Queste battute, raccontate da Petrucelli Della Gattina, rappresentano efficacemente la formidabile personalità di Francesco Crispi (1819-1901), l’uomo politico siciliano che guidò la nazione nel passaggio di secolo tra Otto e Novecento. Formidabile ma anche complessa, come lo stesso scambio del resto riesce a significare. Cospiratore democratico costretto all’esilio dalla repressione borbonica, mazziniano e poi monarchico, riveste via via le più alte cariche dello Stato fino a caratterizzare il ruolo di primo ministro per quelle decisioni “forti” che prende di fronte alle crisi parlamentari e alle sfide della modernizzazione post-unitaria. Ma nel percorso di Crispi è possibile leggere ancora la storia siciliana e italiana – se non addirittura la vicenda europea, politica e istituzionale, con la crisi dello Stato liberale scaricata prima nelle avventure coloniali, poi nella Grande Guerra – come di recente la storiografia anglosassone non ha mancato di sottolineare dando un giusto risalto a una figura che in Italia suscita qualche resistenza. L’uso propagandistico che l’apologetica fascista aveva fatto del personaggio carismatico avrebbe infatti creato attorno allo statista una diffidenza mai del tutto superata. Il ritmo movimentista della sua azione politica, coronata da successi, doveva attrarre un regime istauratosi con lo strappo dittatoriale e in cerca di legittimazioni a posteriori. Repubblicano eppure alleato con la Corona, democratico ma autoritario, nazionalista fino a concepire un sogno imperialista, tutte le caratteristiche di Crispi sembravano fatalmente prestarsi a farne un precursore del Duce.
Le ricerche di Giuseppe Astuto colmano lacune che ricadevano anche sulla conoscenza delle dinamiche della creazione della nazione italiana, e questo libro in particolare segue, con sapienza scientifica e una scrittura felice, la parabola di Crispi a partire dalla fine, la sconfitta di Adua del 1° marzo 1896, la maggiore che uno Stato europeo incontra nello slancio colonialistico. Dalle dimissioni della sera del 4 marzo, Astuto ritorna ai primi passi del suo protagonista, per iniziare a raccontare la “lunga marcia verso il potere”. Abbiamo una visuale, come si dice in questi casi, privilegiata, dato che nelle lotte di Crispi ci sono i tempi della vita italiana che procede verso l’unità. Un ruolo talvolta negato o sottaciuto di artefice di quegli eventi, a scapito di figure che la letteratura risorgimentale e resistenziale avrebbe esaltato, vale a dire la triade Mazzini, Garibaldi, Cavour, con la comparsa più sfumata della monarchia sabauda. E tuttavia una funzione decisiva, perfino nella clamorosa rottura con Mazzini e il repubblicanesimo, una lacerazione che per certi versi ritorna con le misure eccezionali da lui volute per reprimere i fasci siciliani. Ma sono due “episodi” che non si esauriscono nelle vicende personali di uno statista, ma eventi sintomatici di una svolta epocale delle istituzioni politiche europee sollecitate a ridefinire il senso della sovranità statale. Ciò passa per il “ridimensionamento delle assemblee elettive e al rilancio dello Stato-persona. Da questa impostazione deriva una nuova forma di governo (il governo di gabinetto), punto di incontro tra il principio monarchico e quello rappresentativo” (p. 8). Sono trasformazioni che si riflettono nel dibattito politilogico, gli Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca (1858-1941) appaiono proprio nel 1896, con le note teorie elitiste e le critiche al parlamentarismo. L’esperienza politica di Crispi è il motore di tali cambiamenti straordinari: “la nuova legge comunale e provinciale, il codice penale Zanardelli, la giustizia amministrativa, il riordino finanziario e la creazione di nuovi istituti di credito completano la costruzione dello Stato post-risorgimentale ed interpretano le esigenze di modernizzazione” (p. 9). Ma il fallimento della politica estera con “il disastro di Adua” – osserva acutamente Astuto – segna anche la fine del crispismo, lasciando insoluta la questione più delicata, la riforma di un esecutivo che fosse in grado di governare la domanda politica che scaturiva da un conflitto sociale inedito, a pochi anni dall’unificazione territoriale che imponeva una complessità di questioni sia sul piano interno sia sul versante internazionale. Una domanda ineludibile che le leggi fascistissime a modo loro si troveranno ad assecondare.