Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades | Sección digital
Sección digital Otras reseñas Julio de 2008
AA.VV., Diritti di libertà, diritti sociali e sacralità della giurisdizione in Piero Calamandrei
Atti della giornata di studio (Università di Modena e Reggio Emilia, Facoltà di Giurisprudenza, 2 dicembre 2006). Il Ponte Editore, Firenze 2007. Pp. 125.
Piero Venturelli
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Piero Calamandrei (1889-1956), la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha dedicato a questo celebre giurista, intellettuale e uomo politico fiorentino una giornata di studio, i cui atti sono stati raccolti nel presente volume.
I numerosi relatori intervenuti – giuristi, magistrati, avvocati, pubblicisti, docenti e ricercatori universitari – hanno preso in considerazione i molteplici aspetti dell’ampia riflessione di Calamandrei, spaziando dalla sua idea della democrazia alla sua peculiare visione della laicità, dalla proposta di federalismo territoriale alla prefigurazione di una sorta di Stati Uniti d’Europa, dalla sua concezione della “sacralità” della legge alle tesi che egli avanza intorno alla deontologia forense.
Il volume si apre con una relazione di Massimo Jasonni, dedicata al breve periodo di docenza (1918-1920) che il futuro padre costituente trascorre presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena. Calamandrei, chiamato a ricoprire la cattedra di Diritto processuale civile all’età di ventinove anni, ha già pubblicato a quel tempo contributi scientifici di grande importanza e, severo custode delle tradizioni liberali, si sta affacciando nel panorama intellettuale italiano come un interprete originale del paradigma idealistico allora dominante.
Molte delle comunicazioni lette a Modena concernono la prospettiva liberalsocialista di Calamandrei. Nato alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1937 intorno alle figure di Aldo Capitini (1899-1968) e Guido Calogero (1904-1986), il movimento liberalsocialista non solo si oppone al fascismo, ma – come rileva Gian Marco Minardi – intende anche «criticare e superare il liberalismo classico, sia sul piano dell’azione e del programma politico, sia sul terreno ideologico» (p. 74), non accontentandosi del semplice ritorno alla limitata democrazia liberale che ha preceduto l’avvento del “duce” Benito Mussolini (1883-1945). Nelle idee liberalsocialiste, osserva Minardi, si riconoscono sia «quei liberali che non intendono la libertà come delimitazione semplicemente giuridica, ma come grande occasione individuale di sviluppo dei valori spirituali», sia «quei socialisti che sono consapevoli che lo statalismo [...] può tradire il socialismo stesso quando si consideri come fine, quando assolutizzi l’ordinamento economico e quando si dimentichi, così, di essere la più straordinaria occasione storica dell’accrescimento della libertà e dell’emancipazione dell’uomo da ogni forma di ingiustizia» (p. 79).
Le argomentazioni svolte da Thomas Casadei si pongono in continuità con le tesi discusse da Minardi: a differenza di quest’ultimo, però, egli concentra l’attenzione prevalentemente sul pensiero di Calamandrei, mostrando come la «grammatica della democrazia» nel giurista fiorentino richiami spesso la lezione di autori come Carlo Rosselli (1899-1937), Guido Calogero e Piero Gobetti (1901-1926). Assertore di una «rivoluzione democratica» da intraprendersi al più presto in Italia, Calamandrei mette in luce i limiti dello statalismo burocratico e teorizza una versione partecipativa e conflittualista della democrazia, incentrata sulle idee della libertà come autonomia e della gestione diretta della cosa pubblica da parte dei cittadini. Egli avanza anche un vero e proprio progetto di federalismo territoriale e arriva a sostenere la necessità di creare una sorta di Stati Uniti d’Europa per garantire l’autodeterminazione dei popoli, idea che egli condivide con gli autori del Manifesto di Ventotene (1944).
Nel 1945 Calamandrei è nominato membro dell’Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d’Azione. Partecipa attivamente ai lavori parlamentari e ha un ruolo di grande rilievo giuridico, di alto profilo culturale e di appassionata testimonianza, rappresentando con forza lo spirito “resistente” di coloro che vogliono una democrazia più attenta ai bisogni dei cittadini e meglio garantita rispetto alla lontananza del potere. Durante la giornata di studio modenese, è stato soprattutto Michelangelo Bovero a mettere in risalto l’essenziale apporto del liberalsocialismo – e segnatamente di Calamandrei – nella costruzione della Carta fondamentale, un contributo che consiste nel richiamare l’attenzione degli altri padri costituenti sulla «necessità non meramente pragmatica, bensì logica e assiologica, dell’integrazione tra i diritti di tradizione liberale e quelli di ispirazione socialista», e sull’esigenza «di chiarirne le ragioni nell’ambito di una concezione evoluta della democrazia» (p. 17). Da questo connubio, spiega Gianfrancesco Zanetti, il famoso giurista si attende la nascita di una «democrazia sociale intesa come forma di governo in cui il riconoscimento dei diritti sociali [viene] posto a garanzia dell’esercizio effettivo dei diritti di libertà e dei diritti politici» (p. 48).
Nelle ultime settimane della Seconda guerra mondiale, Calamandrei fonda a Firenze «Il Ponte», rivista che dirige fino alla morte. In due relazioni, presentate da Marcello Rossi (l’attuale direttore del «Ponte») e da Roberto Passini, viene focalizzata l’attenzione sulle principali proposte e analisi che l’intellettuale toscano consegna agli scritti che escono per undici anni nelle pagine della rivista. In essi, vengono accusate ripetutamente la classe dirigente italiana e buona parte dell’opinione pubblica di star tradendo gli ideali della Resistenza; per combattere questa restaurazione strisciante, secondo Calamandrei, è necessario richiamarsi ai valori espressi nella Costituzione repubblicana, entrata in vigore nel 1948. Nei suoi articoli apparsi sul «Ponte», inoltre, il giurista fiorentino si schiera apertamente contro la nascita del Patto Atlantico, facendosi nel medesimo tempo promotore – come si è detto – della costruzione degli Stati Uniti d’Europa, un’entità politica e istituzionale che egli ritiene indispensabile per salvaguardare la pace tra i popoli.
Lo scopo primario dell’intervento di Vincenzo Pacillo è porre in rilievo la battaglia all’insegna della laicità combattuta a tutto campo da Calamandrei. L’avversione di questo «adepto e apostolo della religione della legalità costituzionale» (p. 82) – come lo definisce Pacillo – nei confronti del confessionalismo non è di carattere politico o ideologico, ma di natura giuridica. Secondo Calamandrei, infatti, prevedere una «religione ufficiale dello Stato» significa cancellare di fatto la libertà religiosa di coloro che non professano la religione ufficiale. Le posizioni dell’autore fiorentino, tuttavia, non devono essere equivocate: egli si muove «nel solco di una “laicizzazione della laicità”: laicità che perde la sua originaria dimensione di “religione antireligiosa” per aprirsi al pluralismo culturale in cui anche le tradizioni confessionali giocano un ruolo determinante» (p. 87).
I temi centrali di un altro cospicuo gruppo di relazioni modenesi sono la deontologia forense e la “sacralità” della legge e, più in generale, del diritto. Nel suo saggio, Antonino Cavarra mostra come le concezioni di Calamandrei intorno alla figura del giudice vadano mutando nel tempo. Dapprima sostenitore del principio della legalità a tutti i costi, nell’ultima fase della vita egli si dice convinto che sia possibile intendere a pieno il principio di legalità soltanto qualora la si consideri realmente attuata nei regimi animati dal soffio vivificante della libertà. Da questa seconda posizione deriva che i giudici non hanno il dovere di applicare la legge quando il suo contenuto è mostruoso; ed essi, all’indomani della caduta del fascismo e della monarchia, in caso di bisogno possono trovare nella Carta fondamentale una norma in grado di tutelare principi perenni e supremi, norma che consente loro di sollevare davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità della legge.
Alcune relazioni – in particolar modo, quelle di Cavarra, Giancarlo Scarpari e Donatella Donati – si soffermano sulle virtù del giudice. Quest’ultimo, nella visione di Calamandrei, non può non annoverare tra le sue qualità lo spirito di indipendenza, l’umiltà e una coscienza viva, sensibile e vigilante. L’autore toscano mette in guardia i giudici contro il pericolo del lento esaurimento interno delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate: conformismo, pigrizia mentale e terrore della propria autonomia portano il magistrato a preferire alla soluzione giusta quella accomodante.
Le conclusioni del giudice, secondo Calamandrei, discendono dalla misteriosa e chiaroveggente virtù di intuizione che questi possiede e che prende il nome di «senso della giustizia». Egli afferma che tale «senso della giustizia» corrisponde alla «pronta intuizione umana», ossia alla capacità peculiare del giudice che gli consente, una volta appresi i fatti, di «sentire subito da che parte è la ragione»; si tratta, dunque, di una virtù innata che non ha niente a che vedere con la tecnica del diritto.
Nel suo intervento, Scarpari si sofferma sull’idea del processo in Calamandrei. Per quest’ultimo, il processo è uno scambio di proposte, di risposte e di repliche che avviene fra tre parti, in quanto l’attività dell’attore e del convenuto risulta condizionata, oltre che dal loro contrasto, anche dagli stimoli che le derivano dal giudice. Per avere un processo giusto, tuttavia, «è necessario che il contraddittorio sia qualificato, che non presenti uno squilibrio tra i contendenti» (p. 25).
Alessandro Sivelli, nell’ultimo saggio del volume, prende in esame le argomentazioni che Calamandrei svolge intorno alle regole deontologiche previste per l’avvocato e il giudice, regole intese come il baluardo per il mantenimento dell’etica necessaria e inderogabile per svolgere quelle delicate professioni. Sivelli, inoltre, dà risalto al fatto che Calamandrei ritiene indispensabile che i legali non siano numerosi: intellettualmente e moralmente scelti, essi devono anche essere economicamente posti in grado di trarre sufficiente guadagno dal difendere poche cause oneste, in modo che la fame non li costringa a creare dal nulla liti temerarie.
Questa raccolta di saggi mostra molto bene la vastità di interessi e di campi d’azione di Calamandrei: egli è non solo un giurista insigne, ma anche un politico di notevole caratura e un pubblicista fecondo. Grazie alla sua rara capacità di analisi e sintesi dei problemi, Calamandrei si rivela uno dei più lucidi uomini di cultura impegnati che siano vissuti nell’Italia del secolo scorso, un «laico senz’ombre» (Pacillo, p. 82) che, sulla base dei diritti fondamentali contenuti nella Costituzione repubblicana, addita il cammino verso una rivoluzione democratica, verso – cioè – la realizzazione della piena autonomia dei soggetti in una società pluralistica.