Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades | Sección digital
Sección digital Otras reseñas Septiembre de 2008
Lessico per un’Italia civile, di Paolo Prodi (Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2008)
Luigi Giorgi | Studioso di storia, lavora presso la Camera dei Deputati italiana
L’ultimo libro di Paolo Prodi è un testo importante per comprendere alcuni dei fenomeni politici, culturali e sociali dell’Italia contemporanea. Docente presso l’Università di Bologna e fra i maggiori storici del panorama culturale internazionale, Prodi cerca, affrontando temi fra i più diversi, di costruire un lessico e una grammatica che indichino all’Italia e agli italiani, ma anche agli altri Paesi e popoli europei, la strada per comprendere i problemi della modernità. Egli ragiona con la forma mentis dello storico di lungo periodo che affronta i processi non già arrestandosi al contingente e al momentaneo, bensì – piuttosto – nel loro sviluppo diacronico. Partendo da problemi di stretta attualità (immigrazione, sicurezza, scuola, università, secolarizzazione, partiti, laicità, bioetica, esercito, guerra, produttività, globalizzazione ecc.), Prodi sviluppa nelle trecento pagine del libro un efficace e approfondito percorso politico e culturale, oltretutto facendo uso di un linguaggio semplice e accessibile a tutti. Entro questa prospettiva, lo storico italiano affronta una serie di diadi sulle quali egli costruisce il suo intero ragionamento: norma positiva e norma religiosa; sfera economica e sfera politica; secolarizzazione e Stato; partiti e democrazia; spazio del cittadino e potere; struttura ecclesiastica e riflessione teologica.
Bisogna dire che ciò che contribuisce ad arricchire un’opera già di per sé densa e profonda come questo Lessico per un’Italia civile, è la curatela che ne fa lo storico della filosofia Piero Venturelli: egli, oltre ad intervistare Prodi nella parte iniziale del volume, con perizia, competenza e metodo glossa ogni scritto del professore bolognese accludendo una puntuale bibliografia che mira non solo a spiegare e contestualizzare l’argomento, ma anche a fornire al lettore una pista sulla quale muoversi per ulteriori approfondimenti.
Per comprendere un po’ l’impostazione generale che sorregge complessivamente la riflessione di Prodi, occorre ricordare che egli – ventenne – fu uno degli allievi del giurista ed esponente politico cattolico Giuseppe Dossetti, scomparso nel dicembre 1996 [1] . Non a caso, Prodi dedica a quella figura “carismatica” una delle quarantadue voci del Lessico, uno scritto che è quasi un omaggio ad uno dei suoi più influenti maestri e che tende a sfatare i luoghi comuni che ne hanno nel tempo appesantito la memoria: una fra tutte, l’accusa di “utopismo intransigente” e di “integrismo”. «Chi ha parlato con Dossetti di politica – scrive l’autore – sa che il suo era tutt’altro che un discorso astratto: del resto, le sue analisi politiche sono sempre state – anche quando, da monaco, pareva lontano da tutto – di una lucidità e di una capacità razionale di comprensione degli avvenimenti quasi mostruosa» [2] .
Non si può non pensare ancora a Dossetti quando Prodi affronta il problema del rapporto fra Stato e mercato. Leggendo, infatti, alcune riflessioni dello storico bolognese sulla tensione costante fra spazio dello Stato e spazio dell’economia (i cui strappi allargano le disuguaglianze e le prerogative del potere sul cittadino), viene alla mente la conferenza che Dossetti tenne il 12 novembre 1951 nell’ambito del Convegno su “Funzioni e ordinamento dello Stato moderno”, organizzato dall’Unione Giuristi Cattolici [3] . In quella relazione, il politico italiano disse che nello Stato stava crescendo l’immunità della società economica e del potere economico attraverso la prevalenza del contratto sulla legge e il riconoscimento ai privati della capacità di generare ad libitum nuovi soggetti di diritto. A grandi linee, si tratta della medesima argomentazione avanzata da Prodi allorché, durante la conversazione con Venturelli, egli osserva che negli ultimi tempi «è svanito il rapporto di equilibrio e di tensione tra la politica e il mercato che ha caratterizzato lo sviluppo del mercato occidentale; mentre si indebolisce la politica (intesa come Stato di diritto e democrazia), viene anche meno il nostro mercato […]: democrazia e mercato “simul stabunt simul cadent”» [4] .
Da cattolico, Prodi si cimenta lungo tutto il libro, in maniera sia esplicita sia implicita, con la rottura di quella distinzione che egli ha illustrato ampiamente in altri studi [5] : la separazione, cioè, tra la sfera del sacro e quella del potere. Questa differenziazione ha permesso in Occidente, a partire dalla “rivoluzione gregoriana” del XI secolo, la crescita del dualismo istituzionale e la tensione dialettica fra Stato e Chiesa, nonché lo sviluppo di un doppio piano di norme: le norme morali e quelle positive; in definitiva, la diversificazione fra peccato e reato. L’odierna crisi di tale distinzione si scorge emblematicamente dall’irrompere nel dibattito culturale e spirituale delle questioni bioetiche, la cui discussione turba le nostre società contemporanee in modo profondo e radicale; e – ancora di più – mette in crisi la coscienza del cattolico non consacrato, scosso nei valori fondanti della propria fede, del proprio stare nel mondo e della propria laicità, valori che – come egli s’accorge – devono essere oggigiorno vissuti in modo nuovo e diverso. Scrive Prodi che
«[l]a programmazione della vita e della morte, attraverso le manipolazioni genetiche o l’eutanasia, può rendere impossibile il “giudizio” sulle azioni dell’uomo o della sua responsabilità. La conseguenza è che rischia di scomparire l’uomo occidentale come lo conosciamo adesso, responsabile delle sue azioni, delle scelte tra il bene e il male. In questo quadro, il discorso sulla laicità acquista valenze inedite, di fronte a “magistrature etiche”, sacralizzate dalla nuova scienza biologica, che possono arrogarsi il monopolio delle decisioni sulla vita e sulla morte. Da qui dobbiamo ripartire per ripensare una nuova laicità» [6] .
Prodi affronta questi temi sia con la misura dello storico e dell’uomo di cultura sia con la sensibilità del cristiano. Osserva, infatti, a proposito dell’eutanasia:
«È necessario colpire duramente ogni offesa ai diritti dell’uomo, ma senza chiudere gli occhi di fronte alla nostra impotenza: anche dietro ogni atto di difesa della vita a tutti i costi, è bene rifletterci, può nascondersi una manipolazione per la tutela di interessi individuali o particolari di categorie privilegiate; per questo motivo, dobbiamo difendere lo spazio della coscienza, nel quale il primo e sommo dovere è quello della carità (o, in termini laici, della fraternità e della solidarietà) e non quello dell’obbedienza alla legge» [7] .
C’è, a mio giudizio, molto dell’insegnamento di San Paolo in quello che afferma Prodi e c’è tutta la concezione cattolico-democratica che ebbe un ruolo fondamentale nella scrittura della Costituzione italiana. Se, infatti, da un lato risuona il testo paolino della Lettera ai Corinzi, dall’altro traspare l’idea della preminenza dell’uomo rispetto allo Stato che è propria del contributo dei cattolici alla nascita della Carta fondamentale italiana.
Prodi basa molte delle sue “voci” sulla necessità di limitare il “potere”, perché la storia insegna che esso ha la tendenza a fuoriuscire dal gioco democratico e a diventare strumento di privilegio e di limitazione della libertà. Lo stesso discorso sulla bioetica è affrontato, in parte, in questi termini. Prodi rileva, infatti, prendendo in esame il nodo dell’embrione: «la costante è sempre […] che chi ha il potere (e i mezzi che il potere fornisce) sarà in grado di ottenere ciò che è reso possibile dalle nuove scoperte e se ne servirà per se stesso e per dominare gli uomini» [8] .
Il problema si pone, quindi, in termini di sovranità e capacità di rappresentanza individuale e collettiva. Anche per questo, Prodi si sofferma sulla necessità di una reale democratizzazione dei partiti, con attenzione specifica all’articolo 49 della Carta fondamentale italiana [9] ; a tale proposito, egli è «convinto che questo dettato della Costituzione, in realtà, non sia mai stato attuato: la mancata definizione giuridica dei partiti come soggetti giuridici di rilievo costituzionale e la mancanza totale di norme relative al “metodo democratico”, che dovrebbe essere la base della loro vita interna, rappresenta il male oscuro» [10] della politica italiana, patologia che è divenuta assai grave soprattutto negli ultimi anni.
Prodi è anche uomo di parte, non lo nasconde, e nel libro riprende con forza le ragioni della Sinistra, cercando di ritrovarne e sottolinearne le differenze e peculiarità rispetto alla Destra, in un periodo nel quale i termini “Destra” e “Sinistra” sembrano ormai aver perso, non solo in Italia, il loro significato “forte”. «Penso che oggigiorno – egli afferma – non vi sia altra possibilità di riferimento, di un minimo comun denominatore per l’insieme di movimenti e di partiti dello schieramento di Sinistra, se non la preminenza del valore dell’equità rispetto alla esaltazione del liberismo privo di regole che caratterizza le Destre» [11] . Equità intesa dal professore bolognese come un’idea pulita di democrazia, di divisione dei poteri, di primato della legge e di libertà d’informazione: «insomma, di un sistema politico che pone alcuni limiti al potere smisurato della proprietà» [12] . L’idea di equità propugnata da Prodi, tuttavia, non è un’idea che appiattisce: nella sua visione, al contrario, deve contribuire ad «assicurare a ciascuno la possibilità di competere e avere diritto ad una condizione di vita umana» [13] .
Come si può osservare, questo “lessico” è un’opera coraggiosa che parla un linguaggio forse sconosciuto alla maggioranza degli italiani di questo principio di XXI secolo. Eppure, il libro di Prodi è uno studio che costruisce, attraverso riflessioni lucide e mai banali, piccoli tasselli di speranza per l’Italia contemporanea e anche per l’Unione Europea oggi in costruzione.
Leggendo questo volume viene alla mente come e da dove nascono lo spirito e la passione dello storico. Più di settant’anni fa, scriveva dal carcere fascista l’intellettuale Antonio Gramsci al figlio Delio: «Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanto più è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra di loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa» [14] . E Prodi partendo dalla storia degli uomini come singoli e come “uniti” fra di loro, non fa altro che indicare una via per migliorare lo stato di cose in Italia e in Europa, attualmente scosse e percorse da mille paure. Basterà? Ai posteri l’ardua sentenza. Certo Paolo Prodi ci ha provato con un’operazione intelligente, onesta e di ampio respiro.
[1] Giuseppe Dossetti (1913-1996), dopo aver partecipato al movimento resistenziale contro il nazifascismo, nell’Italia liberata dell’immediato secondo dopoguerra divenne dirigente del partito politico “Democrazia Cristiana” e membro cattolico dell’Assemblea parlamentare che redasse la Costituzione repubblicana del 1948; poco dopo la chiusura della rivista «Cronache sociali», da lui fondata nel 1947, organizzò nel 1952 a Bologna il “Centro di documentazione” con l’intento di formare una comunità di giovani ricercatori capaci di misurarsi con la grande crisi di lungo periodo del cristianesimo che traeva origine, a suo avviso, dal XVI secolo; già terziario francescano, nel 1958 abbandonò la vita politica e creò l’ordine religioso “Piccola Famiglia dell’Annunziata”; dopo essere stato ordinato sacerdote ed aver partecipato ai lavori del Concilio Vaticano II come esperto di diritto ecclesiastico, si ritirò in un monastero della montagna bolognese, zona funestata dalle violenze degli occupanti tedeschi durante le fasi conclusive della secondo conflitto mondiale, dove rimase praticamente per tutto il resto della vita; nel biennio precedente la morte, prese più volte la parola pubblicamente per difendere la Costituzione che aveva concorso a scrivere e che considerava minacciata da una porzione consistente della classe politica (questi suoi interventi aprirono la strada alla rapidissima nascita in tutto il Paese di gruppi impegnati nella salvaguardia della Carta fondamentale, associazioni tuttora operanti sul territorio italiano e definite ufficialmente dal 1997 “Comitati ‘Dossetti’ per la Costituzione”).
Sull’esperienza politica di quest’importante figura, mi sia permesso rinviare a L. Giorgi, Giuseppe Dossetti e la politica estera italiana. 1945-1951, Edizioni Scriptorium, Cernusco sul Naviglio, 2005, e a Id., Giuseppe Dossetti. Una vicenda politica. 1943-1958, Edizioni Scriptorium, Cernusco sul Naviglio, 2007; sugli stessi temi, si può vedere anche l’antologia Le «Cronache sociali» di Giuseppe Dossetti. 1947-1951. La giovane Sinistra cattolica e la rifondazione della democrazia italiana, a cura di L. Giorgi, con saggi introduttivi di P. Pombeni e di L. Giorgi, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2007.
[2] P. Prodi, Lessico per un’Italia civile, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2008, p. 108.
[3] Questa relazione, letta durante i lavori del III Convegno nazionale di studio dell’Unione Giuristi Cattolici (tenutosi a Roma il 12-14 novembre 1951), si può leggere – in una versione non riveduta dall’autore – al seguente indirizzo web: < https://www.dossetti.com/dossetti/funzionieordinamento.html#anchor >.
[4] P. Prodi, Lessico per un’Italia civile, cit., p. 50.
[5] Paolo Prodi (n. 1932) ha dedicato a queste tematiche numerosi articoli, saggi e “voci” di enciclopedia, pubblicati in Italia e all’estero. Tra le sue monografie, tradotte in diverse lingue, si segnalano in particolare: Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna, 1982 (20062); Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, Il Mulino, Bologna, 1992; Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Il Mulino, Bologna, 2000. Una selezione dei suoi articoli e saggi è stata tradotta in lingua francese e raccolta nel volume Christianisme et monde moderne. Cinquante ans de recherches, Gallimard - Le Seuil Paris, 2006. Attualmente Prodi sta concludendo una ricerca sul rapporto fra teologia morale, economia e politica nella genesi delle strutture di mercato dal basso Medioevo all’Età moderna; i risultati di questi studi – dei quali lo storico bolognese offre alcune interessanti anticipazioni nelle “voci” e soprattutto nel colloquio con Venturelli contenuti nel Lessico per un’Italia civile – porteranno nella primavera del 2009 alla pubblicazione di una monografia per i tipi della casa editrice bolognese Il Mulino.
[6] P. Prodi, Lessico per un’Italia civile, cit., p. 187.
[7] Ivi, pp. 141-142.
[8] Ivi, pp. 115-116.
[9] Qui di seguito si riporta il testo integrale dell’articolo 49 della Costituzione italiana del 1948, Carta fondamentale tuttora vigente: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
[10] P. Prodi, Lessico per un’Italia civile, cit., p. 214.
[11] Ivi, p. 167.
[12] Ibid.
[13] Ivi, pp. 167-168.
[14] A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di P. Spriano, Einaudi, Torino, 2007, p. 294.