Sección digital Otras reseñas febrero de 2009

Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales. De la puissance de la multitude à l’économie des affects. Paris, Éditions Amsterdam, 2008. Pp. 281 [*].

Alessandro Ceccarelli

 

La nota che segue non è suscitata dalla presunzione di fornire una panoramica esaustiva dei contenuti di Spinoza et les sciences sociales, quanto dalla speranza di facilitare una lettura avvertita e proficua del volume attraverso una ricognizione del tutto soggettiva. Il lavoro collettivo in questione è come una cartografia provvisoria di ricerche in corso, talvolta portatrici di criteri e punti di vista in contrasto tra di loro, comunque prossime e comunicanti come possono esserlo le zone di un cantiere – per riprendere la nota metafora di Canguilhelm.

L’aspirazione dei curatori, Y. Citton e F. Lordon, di coniugare l’esplicitazione rigorosa di concetti spinoziani con una critica immanente delle scienze sociali, ci risulta pienamente condivisibile. Questa critica non potrà risolversi sul piano concettuale, dove richiede una riformulazione “non-soggettivistica” e “dinamica” delle nozioni principali, ma prenderà le mosse dal ripudio di pretese di neutralità assiologica e dalla rifondazione di una “ontologia (del) sociale” sganciata dall’ipoteca della dialettica.

L’iniziativa editoriale trae origine da una giornata di studi tenutasi, con lo stesso titolo, alla Sorbona il 9 aprile 2005; il volume non consiste però in una raccolta di “atti” nel senso tradizionale, cioè come trasposizione di comunicazioni orali in testi più o meno rimaneggiati e semplicemente giustapposti tra loro. Mancano anzi, per ragioni che ignoriamo, alcune delle comunicazioni portate al convegno [1] , di cui il libro è piuttosto lo svolgimento che il documento. La finalità che emerge sia dall’impianto che dai singoli momenti e motivi è quella di mostrare l’attualità sia critica che analitica dello spinozismo; una finalità sulle cui ragioni si riferirà tra breve [2] .

L’impianto del libro è peculiare ed autonomo rispetto alla sua occasione materiale; a seconda delle sezioni e delle tematiche di riferimento, il lettore potrà operare letture trasversali e personalizzate, oppure assimilare metodicamente alcuni concetti cardinali. Per forza di cose saranno diversi gli usi possibili di quella che Foucault avrebbe definito una “cassetta degli attrezzi”, dove la ripresa di concetti spinoziani che marcano il nesso tra ontologia, antropologia e politica assume un significato transdisciplinare e comporta effetti retroattivi su tutti i campi di ricerca coinvolti.

Le tre parti che compongono il libro hanno statuto e modalità differenti. La prima (Esquisse d’une économie politique des affects [3] ), ad opera di Y. Citton, costituisce un ponderoso saggio sulle poste in gioco comuni a Spinoza e Tarde con riferimento alla psicologia collettiva [4] . La seconda parte (Concepts spinozistes au travail [5] ), comprendente uno studio di Lordon e Orléan e uno di Zarifian, presenta due distinti esempi su come i concetti spinoziani potrebbero venir rielaborati e recuperati alla pratica delle scienze sociali. La terza (Filigranes spinozistes [6] ) raccoglie due contributi dal taglio più tradizionale, ove si confrontano l’eredità del pensatore olandese con due grandi nomi della ricerca storico-sociale del secolo scorso, Michel Foucault (A. Pfauwadel e P. Sévérac [7] ) e Pierre Bourdieu (Ch. Lazzeri [8] ). Chiude la silloge, a mo’ di appendice, una breve, solitaria digressione di A. Negri [9] .

Bisogna notare che questa iniziativa di ricerca trova più di un riscontro nell’opera filosofico-politica spinoziana, e al tempo stesso muove da una consolidata tradizione di critica che, in Francia e non solo, ha demolito l’immagine canonizzata del pensatore olandese, mutando irreversibilmente i termini in cui andrebbe posta la questione della sua modernità – forse anche i termini tramite i quali la nostra modernità si riflette nella sua. Nell’ambito di questa tradizione sono da tenere costantemente in considerazione le ricerche di A. Matheron [10] e di É. Balibar [11] .

Il primo, partendo dalla premessa che Spinoza non può essere spiegato se non tramite Spinoza – le problematiche teoriche dipenderebbero integralmente dall’intelligenza corretta e pertinente dei testi – ha ricostruito un insieme gli snodi sottesi dall’antropologia politica dell’Ethica, fornendo importanti elementi per l’intelligenza del nesso funzionale tra le basi del sistema e la teoria politica. Il secondo, esplicitando il concetto di comunicazione che è la posta in gioco in numerosi snodi tematici, ne ha mostrato l’attualità epistemologica del resto confermata dal confronto con la categoria di “transindividuale” elaborata da Gilbert Simondon all’interno di un programma di assiomatizzazione delle scienze umane [12] .

Va evidenziato, soprattutto per chi abbia poca familiarità con la letteratura spinozistica francese, che un aspetto comune alle letture di Matheron e Balibar consiste nella ricostruzione e valutazione delle “due vie” – genesi razionale e genesi passionale [13] – che in Spinoza rendono pensabile il “sociale” e quindi il “politico” come dimensioni collettivamente costruite. Entrambe le letture, poi, convergono nella tesi di un primato relativo della genesi passionale del rapporto di dominio. Le cause razionali della società politica non cadono nell’irrealtà di un esangue “ideale” ma piuttosto godono, date le condizioni di esistenza dei più, di uno spazio ridotto e fragile eppure agibile, cioè contingente: se anche i più non saranno mai esseri razionali, nondimeno è la ragione che determina un’oggettiva armonizzazione dei loro interessi [14] .

Torniamo a considerare il contesto in cui nasce il volume in questione. Nel nostro tempo, il significato di Spinoza per le scienze umane e l’emergere di un habitus “spinozista” tra ricercatori – già a partire dall’esaurirsi del modello strutturalista – è un fatto degno di nota, che non si limita all’ambito francese. Per quanto riguarda i concetti articolati sistematicamente nell’opera di  Spinoza, si possono ravvisare dei contributi maggiori nella nozione di conatus [15] coi suoi sviluppi nell’analisi delle istituzioni e nella correlata costruzione di un concetto complesso, polisemico, dell’individualità.

Per quanto riguarda invece la prossimità con nozioni dell’epistemologia contemporanea, Citton e Lordon citano in particolare il concetto di autopoiesi, che ha guidato e configurato ricerche di frontiera tra biologia, psicologia, teoria dei sistemi ed è stato ugualmente un punto di riferimento costante nell’interpretazione di Matheron. Andrebbero parimenti citati i casi della neurobiologia di Damasio, del concetto di modulazione in Simondon o della scuola economica regolazionista... ma quel che importa qui sono le ragioni per le quali lo “spinozismo” rappresenterebbe una sorta di antidoto o meglio di vaccino epistemologico per scampare da un insieme di pregiudizi e vizi teorici che avrebbe accompagnato l’istituzionalizzazione delle scienze sociali tra il XIX e il XX secolo.

Nella prefazione di Spinoza et les sciences sociales vengono giustamente rimarcati gli elementi di naturalismo e di determinismo connaturati al modo di filosofare spinoziano [16] . Tali elementi, adeguatamente svolti, avrebbero effetti disinibitori rispetto a una disciplina – la sociologia – che ha dovuto lottare contro la sussunzione del mondo storico sotto “leggi di natura” omnicomprensive, ma che d’altra parte si è arresa a dover fare dell’umano una “antinatura” pur di designare come “natura” tutto ciò che non è “umano”. Che ha fatto suo, insomma, un sistema di riferimento dove la sfera della prassi rappresenta un ordine morale sottratto al determinismo e votato alla libertà, alla piena realizzazione del valore e dell’ideale.

Lo spinozismo riconosce come infondata tale impostazione, comune a molte discipline e caratteristica dell’istituzionalismo: i prodotti culturali sono intesi essere “prodotti” in un senso toto genere differente rispetto a quello che permette di applicare questa categoria ai fenomeni naturali – senza che peraltro si possa determinare un fondamento di questa differenza. Di fronte a questa posizione, lo spinozismo obietta che se si dà un concetto di Natura tale da esprimere l’ordine generale che lega le cause agli effetti – l’ordine della produzione di tutte le realtà in quanto determinate ad esistere e ad agire da altro [17] –, allora la modalità della produzione causale sarà quanto vi è di comune tra fatti di pertinenza del mondo sociale e, ad esempio, fatti di pertinenza della geologia, mentre differenti nel loro genere saranno le forze in gioco nell’uno e nell’altro ambito.

Non bisogna temere che il prezzo da pagare per tale rettifica sia troppo alto; tenendo in sospeso quanto esplicitato a questo proposito nell’Ethica [18] , ci si può rendere conto che questo naturalismo-determinismo senza riserve non comporterebbe l’abolizione categorica, ma piuttosto la ridefinizione di “contingenza”, “probabilità”, “imprevedibilità” ecc. – in breve, dello spazio categoriale tramite il quale viene concepito l’agente [19] .

Questo perché se l’uomo è parte della Natura, allora partecipa in maniera condizionata e relativa (finita) della sua infinita capacità di produrre effetti [20] e allo stesso modo, se l’individuo è agente (produttore di comportamenti che possono essere rilevati, denotati, misurati), lo è in quanto le sue stesse condizioni di esistenza lo inseriscono in una produzione collettiva di comportamenti e di identità [21] .

Va di pari passo con questa strategia teorica la confutazione di ogni tipo di “individualismo metodologico”, ovvero quell’habitus scientifico che pone concretamente l’individuo come un apriori, che assume come già dati nella loro individualità i fatti che studia. Al contrario, un modo “spinozista” di praticare le scienze sociali non darà mai per scontato l’essere-individuato del dato o dei dati di cui si occupa, poiché la res singularis non esprime niente (non può essere “riprodotta” tramite un rapporto di concetti) se non viene collegata al livello di emergenza e di complessità che la concatena con altri individui, composti o componenti [22]

A quanto risulta da queste perlustrazioni, concetti cardinali come quelli di affectus, multitudo, conatus, individuum con le loro articolazioni e concatenazioni incontrano una precisa esigenza della ricerca sociale contemporanea, che è quella di produrre una teoria dell’azione “individuata” ma non “soggettivistica”, che affermi il primato del desiderio senza per questo cadere nelle secche dell’umanesimo teorico, nella giustificazione del soggetto sovrano.

Così, in diversi momenti e in diversi contributi viene in luce la necessità di regredire analiticamente al livello della produzione sociale della domanda. Qui si trovano dinamiche psicologiche non formalizzate (fiducia, credito, dono), ascrivibili ai meccanismi della imitatio affectuum [23] , che presiedono all’uniformazione di rappresentazioni e comportamenti nelle collettività e mostrano come la formazione (e trasformazione, e dissoluzione...) delle istituzioni vada riferita alla circolazione e quindi ad una economia degli affetti [24] .

Infatti, nella terza parte dell’Ethica l’uomo non è determinato come “attore” ma appunto come sforzo individuato che si dispiega secondo le leggi di un’essenza singolare. È questa ontologia della produzione attiva e passiva d’individualità che, con le sue propaggini nella concezione del diritto naturale come equivalente della potenza, permette di accedere ad una teoria dell’azione impostata sulla desostanzializzazione e sul decentramento dell’agente. Ovunque si danno individuazioni della infinita potenza della Natura; se gli individui agiscono, producono effetti proporzionati al loro grado di realtà, alla porzione di potenza che esprimono in quanto conatus. Lo spazio sociale “costruito” dai saperi, quindi, consta di un processo ininterrotto di composizione, scomposizione, ricomposizione; è uno spazio intrinsecamente relazionale, che va riferito alla individuazione localizzata delle collettività. Se la parafrasi è concessa, potremo dire forma societatis et individuatio multitudinis unum, ac idem sunt.



 

[*] Nelle note verranno citati alcuni luoghi dell’opera maggiore di Spinoza, l’Ethica, con le seguenti abbreviazioni seguite dalla cifra di riferimento: E=Ethica; P=Propositio; S=Scholium; D=Demonstratio; Def.=Definitio; Cor=Corollarium; App=Appendix.

[1] Si tratta delle relazioni di A. Klajnman (“Du don à l’idée vraie donnée: l’épistémologie de Spinoza”) e di É. Balibar (“Spinoza: le transindividuel”). Alla giornata di studi F. Lordon aveva portato una relazione a sé (“Le don tel qu’il est, et non tel qu’on voudrait qu’il fut”) che sintetizzava le sue ricerche di antropologia economica.

[2] Cfr. la prefazione generale firmata dai due curatori, sui temi della quale si tornerà alla fine di questa nota (“Un devenir spinoziste des sciences sociales?”, in Y. Citton e F. Lordon [a cura di], Spinoza et les sciences sociales. De la puissance de la multitude à l’économie des affects, Paris, Éditions Amsterdam, 2008, pp. 15-44).

[3] Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 47-123.

[4] La prossimità tra i due autori, a tratti stupefacente, era già stata riscontrata dal compianto Zourabichvili, studioso di Spinoza e curatore nel 2003 della riedizione di un saggio di Tarde. Cfr. F. Zourabichvili, “Spinoza, le vulgus et la psychologie sociale”, «Studia Spinozana», 8 (1992), pp. 151-169.

[5] Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 127-186.

[6] Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 189-245.

[7] Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 189-211.

[8] Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 213-245.

[9] A. Negri, “Spinoza: une sociologie des affects”, in Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 249-258.

[10] Cfr. A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, Paris, Éditions de Minuit, 1969 (2a ed. 1988); Id., Anthropologie et politique au XVIIe siècle (études sur Spinoza), Paris, Vrin, 1986.

[11] Cfr. É. Balibar, Spinoza et la politique, Paris, PUF, 1985; Id., Il transindividuale, Milano, Ghibli, 2002.

[12] Cfr. G. Simondon, L’individuation psychique et collective, Paris, Éditions Aubier, 1989.

[13] Cfr. É. Balibar, Spinoza et la politique, cit., cap. 4; A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, cit., cap. 8.

[14] Su questo punto, Citton apporta preziose delucidazioni: cfr. Y. Citton, “Esquisse d’une économie politique des affects”, in Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 55-56 (nota 20).

[15] Cfr. E3PP6-9S. Per un’interpretazione orientata alla politica, cfr. L. Bove, La stratégie du conatus, Paris, Vrin, 1996.

[16] Cfr., ad esempio, i celebri testi di E1App.

[17] Cfr. E1P28.

[18] Cfr. E1P33S1; E4Def.3-4.

[19] Cfr. il bilancio sul problema della soggettività in F. Lordon, “Métaphysique des luttes”, in Id. (a cura di), Conflits et pouvoirs dans les institutions du capitalisme, Paris, Presses de Sciences-Po, 2005.

[20] Cfr. E4P2, E4P4D.

[21] Y. Citton, “Esquisse d’une économie politique des affects”, in Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 47-123. Giustamente l’autore rileva che ogni singolo conatus è disposto ad accogliere una determinazione dall’esterno, poiché l’oggetto del desiderio non gli è dato come tale (la transitività del desiderio umano è in sé indeterminata); affinché possa esserlo, deve intervenire la costituzione di un rapporto immaginario agli altri conatus e degli ordini di desiderabilità che ne sono il minimo comun denominatore. Cfr. ibid., pp. 76 ss.

[22] Cfr. E1P25Cor.; E5P24.

[23] Cfr. E3P27S.

[24] Ad esempio, Lordon e Orléan spiegano la genesi dell’ordine monetario rifacendosi al modello sviluppato da Matheron, e riscontrano come in ogni caso la potenza dei molti esprima il potere inerziale del riconoscimento unanime di ciò che ognuno (ogni altro) desidera incondizionatamente. Questo potere non sarebbe altro che la “potenza della moltitudine”, la cui esperienza è indissociabile da uno stato di eteronomia. Cfr. F. Lordon e A. Orléan, “Genèse de l’État et genèse de la monnaie: le modèle de la potentia moltitudinis”, in Y. Citton e F. Lordon (a cura di), Spinoza et les sciences sociales, cit., pp. 136-145.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar