Sección digital Otras reseñas abril de 2009

Anselmo Cassani, Intellettuali e socialismo nella cultura britannica del XX secolo, a cura di Domenico Felice, premessa di Antonio Santucci, prefazione di Giacomo Marramao, Bologna, CLUEB, 2003. Pp. XXIII-147

Piero Venturelli

 

Nell’ambito degli studi dedicati alla cultura d’Oltremanica, uno dei settori d’indagine senza dubbio più trascurati dagli interpreti non britannici è quello che concerne il rapporto fra intellettuali e socialismo nei decenni centrali del secolo scorso. Costituiscono una delle rare eccezioni le analisi e le ricognizioni critiche che Anselmo Cassani consegnò a quattro ampi saggi pubblicati nella «Rivista di filosofia» tra il 1974 e il 1980, e che poi – qualche tempo dopo la prematura morte del loro autore, avvenuta nel 2001 – sono stati raccolti in volume [1] . Questi studi offrono chiara testimonianza della capacità di Cassani di percorrere nuovi e originali itinerari di ricerca sia attraverso un dialogo sapientemente condotto fra storia del pensiero, politologia, filosofia politica e sociologia sia attraverso scrupolose ricostruzioni non soltanto delle prospettive e delle riflessioni degli autori analizzati, ma anche dei “contesti” in cui esse prendono vita, secondo uno stile e un metodo che richiamano quelli propri della history of ideas inaugurata da Arthur O. Lovejoy.

Nel primo saggio, intitolato Marxismo e scienze della natura in Gran Bretagna negli anni trenta del XX secolo (pp. 1-43), Cassani esamina alcuni fondamentali aspetti della radicalizzazione della cultura inglese seguita alla crisi economica mondiale scoppiata nel 1929. Durante i Thirties, un decennio critico per il Partito Laburista [2] , molti giovani poeti e letterati (Stephen Spender, Wystan H. Auden, Cecil Day Lewis, Louis MacNeice, Christopher Isherwood ecc.), così come intellettuali politicamente impegnati già assai noti (da Harold J. Laski ai coniugi Sidney e Beatrice Webb) e importanti scienziati (fra cui John B.S. Haldane e John D. Bernal), vedono nelle sempre più violente convulsioni del capitalismo i segnali dell’approssimarsi di una catastrofe mondiale o della barbarie fascista, onde la sopravvivenza della civiltà sembra loro poter essere garantita soltanto dall’adesione al comunismo. Se per un gran numero di militanti politici e di letterati di sinistra diventa quasi ovvio guardare all’Unione Sovietica – Paese capofila del marxismo-leninismo a livello mondiale – come all’esempio realizzato di una società libera resasi immune dalle crisi economiche internazionali grazie a quei “piani” pluriennali che proprio in quel periodo stanno ottenendo i primi tangibili successi [3] , altrettanto scontata è la loro condivisione del “diamat”, vale a dire del “materialismo dialettico”, che ha trasformato il marxismo in una “metafisica del ‘processo’”.

Il secondo studio della raccolta, dal titolo «A low dishonest decade»: la genesi del «mito degli anni trenta» nella cultura britannica (pp. 45-70), ponendosi in continuità ideale con le argomentazioni svolte nel testo d’apertura, descrive i caratteri della fortunata immagine storiografica dei Thirties e ricostruisce alcuni dei momenti più significativi della sua definizione. Cassani mostra come una delle componenti principali di questo vero e proprio “mito” sia l’attribuzione al marxismo di un’egemonia quasi assoluta sulla cultura britannica del quarto decennio del Novecento. Larga parte della letteratura critica coeva, al pari di quella successiva, riferisce di una generazione consapevole di sé in quanto entità collettiva e che ha i “suoi” artisti, impegnati a dare espressione alle sue esperienze fondamentali e definiti dalla storiografia “the New Signatures poets” o “the Auden Gang”, dal nome di colui che è il principale protagonista della “Poetical Renaissance”.

Nel complesso, la maggioranza degli interpreti – dopo la conclusione del “decennio rosso” – vede nei Thirties un periodo dominato da intellettuali che vivono di false speranze e che, obbedendo a motivazioni politiche, pretendono di fare della letteratura una forma di azione: ma tutto ciò, sempre secondo una porzione rilevante della critica, li porterebbe ad una disfatta sia morale sia artistica. Quest’immagine degli anni trenta come “a low dishonest decade” inizia a diffondersi nell’ultimo scorcio del decennio, ed è Auden ad anticipare – nel saggio The Public v. the Late Mr. William Butler Yeats (1939) e nei versi di September 1, 1939 (1940) – la dichiarazione di sconfitta e l’atto di pentimento dei suoi contemporanei. Una “visione tragica” sgretola progressivamente la “visione rivoluzionaria” degli anni precedenti; l’“attesa della fine” diviene un elemento costitutivo dell’opera e della riflessione di molti scrittori della “Auden Generation”. Avvenimenti storici di grande portata, anche simbolica, come gli accordi di Monaco (1938), la caduta di Madrid e il patto tedesco-sovietico (1939) rendono la “fine” sempre più incombente; e la catastrofe arriva di lì a pochi mesi con la seconda guerra mondiale, proiettando una condanna definitiva sulle “clever hopes” che non hanno saputo impedirla.

Intorno al “decennio rosso”, risultano assai significative le prese di posizione di George Orwell e di Virginia Woolf. Orwell, “profeta del quietismo” e autore di testi emblematici come Inside the Whale (1940) e 1984 (1949), nell’ambito della sua “visione apocalittica” del crollo della civiltà occidentale fondata sulla libertà dell’individuo [4] , accusa gli scrittori comunisti di aver mescolato la letteratura alla politica e di essere incorsi in gravi errori intellettuali, diretta conseguenza di un difetto di serietà e di vigore morale. Il contributo della Woolf alla costituzione del “mito”, invece, appare più distaccato e meno immediatamente polemico; del resto, il suo rapporto con i letterati della “Auden Generation” è complesso, al punto che la distanza critica non sembra escludere la complicità (come contribuisce a documentare un suo scritto del 1932, A Letter to a Young Poet). Diverse pagine dell’autrice, spiega Cassani con particolare riferimento a The Leaning Tower (1940), rappresentano una “testimonianza di una ‘uscita dagli anni trenta’ che recupera le coordinate familiari del liberalismo progressista e del socialismo riformista” [5] .

Nel terzo e nel quarto saggio, intitolati – rispettivamente – Socialismo e società opulenta. La New Left britannica all’inizio degli anni sessanta del XX secolo (pp. 71-105) e Socialismi a confronto: Old Left, New Right, New Left nella controversia sul revisionismo (pp. 107-142), si procede ad un’analisi dei “dilemmi” che, soprattutto a partire dalla metà dei Fifties, agitano il Labour Party, mettendo in crisi i principî dell’“ortodossia laburista” [6] . Cassani mostra qui come le coordinate di fondo del pensiero e dell’azione politica del Labour Party – originatesi dopo la prima guerra mondiale dal confronto e dal compromesso tra le diverse “tradizioni” confluenti nel laburismo – rimangano sostanzialmente incontestate per un trentennio, ispirando sia analisi della realtà economica, politica e sociale incentrate sulla proprietà privata sia programmi volti alla sostituzione del “sistema sociale borghese” – basato sulla “proprietà privata dei mezzi di produzione, distribuzione e scambio”, e ritenuto perennemente instabile e incapace di limitare gli sprechi – con un’inedita “società cooperativa” in cui venga ufficialmente sancita e salvaguardata l’uguaglianza di condizioni economiche e sociali di ciascun membro della collettività in nome della “comune umanità”.

Diversi esponenti di rilievo del Labour Party, nel corso degli anni cinquanta, cominciano a ripensare il contenuto etico del socialismo per trovare definizioni adeguate della società emersa dalla guerra e dalla ricostruzione postbellica. All’epoca, la componente più “libertaria” e meno “statalista” del laburismo britannico è costituita dalla “destra revisionista”, guidata da Anthony Crosland e da Hugh Gaitskell, il quale diviene presidente del partito nel 1955, dunque un anno prima di quei gravi fatti d’Ungheria che provocheranno una profonda crisi nella sinistra britannica non meno che nei partiti comunisti e socialisti dell’Europa continentale [7] . I “revisionisti” accettano l’universo di valori della democrazia liberale, mettono in guardia contro la “minaccia alla libertà” insita in un’estensione indiscriminata della proprietà pubblica (nella forma del monopolio statale di interi settori industriali), rifiutano tanto la nostalgia per l’“austerità” del periodo postbellico quanto la condanna moralistica della “società dei consumi” (due posizioni tipiche del laburismo “fondamentalista”), accusano il partito di non aver saputo adattare la propria strategia e la propria “immagine” alla realtà degli anni cinquanta, e di aver lasciato crescere – nei suoi militanti – uno scarto “schizofrenico” tra “la fraseologia estremista” degli obiettivi di lungo periodo e “il contenuto moderato, praticamente realizzabile, del suo programma a breve termine”.

All’interno del Labour Party, la “nuova filosofia del socialismo”, avanzata da Gaitskell e da Crosland, va incontro a molte critiche. Una delle risposte più articolate agli attacchi dei “revisionisti” proviene da Richard Crossman, che è autore di un ambizioso tentativo di conciliare la “difesa ostinata” dei “principî socialisti” con la consapevolezza della necessità di “ripensare i fondamenti del socialismo”. Secondo la sua interpretazione, negli anni cinquanta è in atto una “crisi strisciante” del capitalismo keynesiano e la libertà appare seriamente minacciata dalle “concentrazioni di potere irresponsabili che caratterizzano il moderno oligopolio”. Al fine di estendere la libertà e di realizzare pienamente la democrazia, egli giudica opportuno subordinare l’economia al controllo pubblico: a suo avviso, però, le nazionalizzazioni possono dare buoni frutti soltanto qualora la politica sappia reagire alla tendenza della burocrazia statale a trasformarsi proprio in una di quelle concentrazioni di potere che mettono in pericolo la libertà dei cittadini [8] .  

Oltre che dagli esponenti “fondamentalisti” del Labour Party, molte delle posizioni propugnate dall’“ala revisionista” vengono respinte anche dalla cerchia di intellettuali socialisti raccoltasi nel 1960 attorno alla «New Left Review», nata dalla fusione di due precedenti riviste, il «New Reasoner» e la «Universities and Left Review». Le figure più rappresentative del gruppo, che aspira a costituirsi in “movimento politico di massa”, sono il critico sociale Raymond Williams e lo storico Edward P. Thompson [9] . Entrambi si dimostrano particolarmente sensibili alla dimensione etica del laburismo “ortodosso”, e mirano a “liberare la tradizione socialista dalle sue componenti ‘difensive’ (il collettivismo rigidamente ostile all’individuo che caratterizza storicamente le organizzazioni operaie) e dalla conseguente indifferenza nei confronti delle garanzie istituzionali dell’autonomia individuale” [10] . Williams – che è autore, fra gli altri scritti, dei discussi Culture and Society: 1780-1950 e The Long Revolution (pubblicati, rispettivamente, nel 1958 e nel 1961) – punta a riscoprire la “reale complessità” della “critica romantica” all’industrialismo, così da valorizzare nuovamente alcuni temi che – a partire dall’idea di “una cultura comune” e dal rifiuto della distinzione tra “lavoro” e “vita”, senza dimenticare la definizione dell’arte come “processo particolare nel generale processo umano di scoperta creativa e comunicazione” – possono risultare “direttamente rilevanti per la costruzione di una risposta socialista alla ‘crisi sociale’ contemporanea e per l’elaborazione […] di una ‘teoria della cultura’ che ponga l’accento, contro ogni riduzionismo, sulle ‘relazioni tra gli elementi di un intero sistema di vita’” [11] .

L’indagine di Cassani si arresta alla metà degli anni sessanta, periodo in cui gli esponenti di una “seconda nuova sinistra”, che controllano ormai la «New Left Review», stanno conducendo una dura battaglia contro il “moralismo” e il “populismo” dei loro predecessori, specie di Thompson, nell’ansia di liquidare le posizioni d’impianto “umanistico” e di “sprovincializzare” il pensiero socialista inglese. Quest’ampio dibattito, promosso da Perry Anderson e Terry Eagleton, è destinato a protrarsi per oltre un decennio.

Servendosi di un metodo di lavoro che “rappresenta un felice esempio di sintesi tra la filosofia sociale e la storia delle idee”, Cassani – come rileva Giacomo Marramao nella sua Prefazione al volume – è in grado “non solo di inquadrare nel proprio ambiente e nella propria costellazione storico-culturale figure intellettuali di prima grandezza spesso considerate isolatamente […], ma anche di discernere con chiarezza gli aspetti più obsoleti e datati delle posizioni prese in esame da quelli ancora vivi e attuali” [12] . Questi documentatissimi contributi critici racchiudono, in altri termini, una praticabile e assai feconda lezione di “‘revisionismo storico’ costruttivo”, le cui notevoli valenze euristiche gli derivano dall’essere improntato “al metodo rigoroso di un’approssimazione alla verità in grado di farci uscire dalla pseudo-antitesi di dogmatismo e relativismo (entrambi assoluti nelle loro assunzioni di principio)” [13] . Alla luce di tutto ciò, si auspica che possa proseguire l’opera intrapresa negli ultimi anni da amici e colleghi di Cassani, e diretta a raccogliere in volumi tematici i saggi usciti singolarmente in sedi diverse o – addirittura – rimasti inediti a cagione dell’improvvisa scomparsa dell’autore, in modo da rendere disponibili tutti i suoi studi ad un largo pubblico.



[1] A. Cassani, Intellettuali e socialismo nella cultura britannica del XX secolo, a cura di D. Felice, premessa di A. Santucci, prefazione di G. Marramao, Bologna, CLUEB, 2003 (d’ora in poi: Intellettuali).

[2] Tra i contributi recenti in materia, vanno menzionati in particolare: J. Swift, Labour in Crisis. Clement Attlee and the Labour Party in Opposition, 1931-40, Houndmills (Basingstoke, UK) - New York, Palgrave Macmillan, 2001; K. Laybourn, Labour in and out of Government, 1923-35, in B. Brivati - R. Heffernan (ed. by), The Labour Party. A Centenary History, foreword by T. Blair, preface by M. Foot, Houndmills (Basingstoke, UK) - London, Palgrave Macmillan, 2000 (e anche New York, St. Martin’s Press, 2000), pp. 50-67: 59-65 (note p. 67); K. Jefferys, The Attlee Years, 1935-55, ivi, pp. 68-86: 68-72 (note p. 84).

[3] Sulla “fortuna” del modello economico pianificato presso la sinistra britannica del quarto e quinto decennio del Novecento, cfr. soprattutto N. Thompson, Political Economy and the Labour Party. The Economics of Democratic Socialism, 1884-1995, London-Bristol, UCL Press, 1996, pp. 105 e segg. (in particolare, pp. 111-114 e 158-168); R. Toye, The Labour Party and the Planned Economy (1931-1951), Woodbridge (UK) - Rochester (NY, USA), The Royal Historical Society - The Boydell Press, 2003.

[4] Tra gli ultimi studi tesi ad approfondire importanti aspetti di questa grande tematica orwelliana, si segnala – in special modo – G. Fiocco, Dall’aeroplano alla bomba atomica: la guerra totale negli scritti di George Orwell (1935-1949), «Studi storici», a. XLI (2000), fasc. 3, pp. 907-927.

[5] Intellettuali, p. 70. Una recente analisi di alcune delle questioni prese qui in esame da Cassani e, insieme, una messa in discussione del “mito” letterario dell’assoluta impoliticità della celebre scrittrice inglese si incontrano in M.M. Pawlowski (ed. by), Virginia Woolf and Fascism. Resisting the Dictators’ Seduction, Houndmills (Basingstoke, UK) - New York, Palgrave Macmillan, 2001; traduzione italiana di L. Giachero, A. Ferraris e R. Scarpetta: Virginia Woolf e il fascismo, a cura di L. Giachero, Milano, Selene, 2004 (per un’ampia recensione del libro, cfr. F. De Luise, Virginia Woolf, il fascismo e lo specifico femminile in politica, «Teoria politica», a. XXI [2005], fasc. 2, pp. 165-174).

[6] Una delle migliori ricostruzioni storiche del travagliato quindicennio che il Partito Laburista vive dal 1951 al 1964, è contenuta in A. Thorpe, A History of the British Labour Party, Houndmills (Basingstoke, UK) - London, Palgrave Macmillan, 1997 (e anche New York, St. Martin’s Press, 1997), pp. 136-156.

[7] Particolarmente delicata, in quegli anni, è la posizione dei British Marxist Historians, come mette bene in evidenza Teodoro Tagliaferri: cfr. – in special modo – T. Tagliaferri, «Diventare storici anche del tempo presente»: la crisi del ’56 e la storiografia marxista britannica, «Studi storici», a. XLVII (2006), fasc. 1, pp. 143-183.

[8] Sulla figura e le proposte di quest’autore, cfr. – da ultimi – K. Hickson - M. Beech, Labour’s Thinkers. The Intellectual Roots of Labour from Tawney to Gordon Brown, London, Tauris, 2007, specie pp. 123 e segg.; V. Honeyman, Richard Crossman. A Reforming Radical of the Labour Party, London, Tauris, 2007; S. Thornton, Richard Crossman and the Welfare State. Pioneer of Welfare Provision and Labour Politics in Post-War Britain, London, Tauris, 2009.

[9] I due personaggi vengono talvolta presi in considerazione insieme o, comunque, messi a confronto: cfr. – ad esempio – N. Stevenson, Culture, Ideology, and Socialism. Raymond Williams and E.P. Thompson, Aldershot (UK) - Brookfield (USA, VT), Avebury, 1995; S. Woodhams, History in the Making. Raymond Williams, Edward Thompson and Radical Intellectuals. 1936-1956, London, Merlin, 2001.

I testi monografici usciti più di recente su Williams, ai quali si rimanda per ulteriori riferimenti bibliografici, sono A. O’ Connor, Raymond Williams, Lanham (USA, MD), Rowman & Littlefield, 2006; D. Milligan, Raymond Williams: Hope and Defeat in the Struggle for Socialism, e-book, < https://www.studiesinanti-capitalism.net/StudiesInAnti-Capitalism/RaymondWilliams.html > [on line dal 1° novembre 2007]; D. Smith, Raymond Williams. A Warrior’s Tale, Cardigan (Wales), Parthian, 2008; F. Mulhern, Culture and Society, Then and Now, «New Left Review», a. L (2009), fasc. 1 [cioè: n. 55 della n.s.], pp. 31-45 (anche in versione elettronica, agli indirizzi < https://www.newleftreview.org/?getpdf=NLR28902&pdflang=en > e < https://www.newleftreview.org/?page=article&view=2760 >).

Su Thompson, vedi – in particolare – B.D. Palmer, The Making of E.P. Thompson. Marxism, Humanism, and History, Toronto, New Hogtown, 1981; Id., E.P. Thompson Objections and Oppositions, New York, Verso, 1994; H.J. Kaye - K. McClelland (ed. by), E.P. Thompson. Critical perspectives, Philadelphia, Temple University Press, 1990; M. Kenny, Socialism and the Romantic ‘Self’. The Case of Edward Thompson, «Journal of Political Ideologies», vol. V (2000), fasc. 1, pp. 104-126.

[10] Intellettuali, p. 99.

[11] Intellettuali, pp. 136-137. In un luogo del terzo studio, a questo proposito, Cassani sottolinea giustamente che “Williams prosegue una linea di pensiero che va da William Morris a Tawney” (ibid., pp. 97-98). Al sociologo, storico e politologo Richard H. Tawney, figura cruciale del socialismo britannico dagli anni venti alla morte (1962), Cassani dedica – nel quarto saggio – diverse pagine assai lucide e penetranti (cfr. ibid., pp. 120-121 e 126-129). Su quest’importante autore inglese (ma nato a Calcutta), cfr. R.M. Titmuss, Introduction to R.H. Tawney, Equality, London - New York, Unwin, 19645 (postuma; 1a ed., 1931), pp. 9-24; J.D. Chambers, The Tawney Tradition, «The Economic History Review», n.s., vol. XXIV (1971), fasc. 3, pp. 355-369; R. Terrill, R.H. Tawney and his Times. Socialism as Fellowship, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1973; J.M. Winter, Tawney as Historian, introduction to R.H. Tawney, History and Society. Essays, edited by J.M. Winter, London - Boston, Routledge & Paul, 1978, pp. 1-40; Id., R.H. Tawney. The American Labour Movement and Other Essays, edited by J.M. Winter, New York, St. Martin’s Press, 1979, pp. IX-XXIV; D.A. Reisman, Tawney, Galbraith, and Adam Smith, Houndmills (Basingstoke, UK) - London, Palgrave Macmillan, 1982 (e anche New York, St. Martin’s Press, 1982), pp. 19-130; A. Wright, R.H. Tawney, Manchester, Manchester University Press, 1987; J.E. Elliott - B.S. Clark, Richard Henry Tawney on the Democratic Economy, «International Journal of Social Economics», a. XVI (1989), fasc. 3, pp. 44-58; T. Tagliaferri, La nuova storiografia britannica e lo sviluppo del welfarismo. Ricerche su R.H. Tawney, Napoli, Liguori, 2000; B. Clift - J. Tomlinson, Tawney and the Third Way, «Journal of Political Ideologies», a. VII (2002), fasc. 3, pp. 315-331; J. Tomlinson, The Limits of Tawney’s Ethical Socialism. A Historical Perspective on the Labour Party and the Market, «Contemporary British History», a. XVI (2002), fasc. 4, pp. 1-16; K. Hickson - M. Beech, Labour’s Thinkers, cit., specie pp. 18 e segg.

[12] G. Marramao, Prefazione a Intellettuali, pp: XVII-XXIII: XXI.

[13] G. Marramao, Prefazione a Intellettuali, p. XXII.

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar