Sección digital Otras reseñas mayo de 2009

Ralf Dahrendorf, Versuchungen der Unfreiheit. Die Intellektuellen in Zeiten der Prüfung, München, Beck, 2006. Pp. 239

Edizione in lingua italiana: Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, traduzione di Michele Sampaolo, Roma-Bari, Laterza, 2007. Pp. IX-244.

 

Piero Venturelli

 

In questo suo libro [1] , il filosofo e sociologo tedesco Ralf Dahrendorf focalizza l’attenzione su alcuni dei più importanti “intellettuali pubblici” che si sottrassero alle tentazioni del comunismo, del fascismo e del nazionalsocialismo. L’Autore conferisce all’espressione intellettuali pubblici un significato “forte”: “Si tratta di persone che vedono come imperativo della loro professione il prendere parte ai discorsi pubblici dominanti nel tempo in cui vivono, anzi il determinarne le tematiche e indirizzarne gli sviluppi” (p. 14). Anche se alcuni intellettuali pubblici non sono sociologi o politologi di mestiere, è pur vero che tutti si rivelano “analisti della politica e della società che riflettono in chiave filosofica” e che “forniscono al loro tempo la lingua in cui le persone si intendono” (p. 15).

Dahrendorf battezza Erasmiani questi “testimoni dello spirito liberale nei tempi della prova” (p. 17), dal momento che il celebre umanista di Rotterdam (1466/1469-1536), sebbene sia vissuto in un periodo di minacce e suggestioni affatto diverse da quelle peculiari dell’epoca dei totalitarismi, già mezzo millennio or sono aveva messo in mostra le virtù che contribuiscono a rendere immuni rispetto alle seduzioni delle varie forme di autoritarismo: disciplina, tenacia e ponderatezza, infatti, consentirono tanto agli uni quanto all’altro di “determinare la propria direzione di marcia intellettuale” (p. 66).

Lo studioso tedesco decide di concentrare la sua trattazione sugli Erasmiani nati nel primo decennio del secolo scorso, perché egli ritiene che specialmente quella generazione di intellettuali pubblici liberali seppe non solo manifestare un’intima partecipazione alla realtà che prendeva in esame, ma anche servirsi della ragione come di una bussola nell’analisi e nella critica del proprio tempo. Gli Erasmiani del Novecento, al pari e forse più dei loro “colleghi” di altre epoche, furono osservatori “impegnati” e gelosi della propria indipendenza. Ma in che senso, impegnati? Come scrive Dahrendorf, “[l]’osservatore impegnato [...] si mantiene sul terreno di una partecipazione che per intensità non è inferiore a quella degli attori [...]. Ma questo impegno formale non è tutto. L’osservare impegnato è in misura particolare votato alla verità” (p. 65), la quale può essere ricercata unicamente garantendo all’intellettuale l’esercizio della libertà.

Quali furono, allora, le virtù cardinali riconoscibili negli Erasmiani del Novecento? Su che cosa dovette far affidamento l’intellettuale pubblico per resistere alle lusinghe dei totalitarismi? Dahrendorf risponde come segue a queste domande: “la capacità di non farsi deviare dal proprio cammino anche quando si rimane da soli; la disponibilità a vivere con le contraddizioni e i conflitti del mondo umano; la disciplina dell’osservatore impegnato, che non si lascia abbagliare; l’appassionata dedizione alla ragione come strumento di conoscenza e di azione” (p. 74).

Secondo l’Autore, oggigiorno taluno potrà probabilmente considerare le virtù degli Erasmiani “un po’ fuori moda, ma per tutti quelli che hanno a cuore la libertà non sarà inutile che anche in futuro vengano coltivate” (p. 215). A suo giudizio, infatti, anche se il nostro non è sicuramente un tempo di grandi prove, come lo fu l’epoca dei totalitarismi, la diffusione del terrorismo e “l’autoritarismo strisciante in molti paesi economicamente sviluppati (per non parlare dei paesi in crescita prorompente) forse pongono di nuovo gli interrogativi” (ibid.) dei quali si occupa il libro.

Concentrandosi soprattutto su esempi storici attinti dal secolo scorso, Dahrendorf traccia una netta linea di demarcazione tra le due immagini idealtipiche dell’Erasmiano e del resistente attivo. Mentre gli intellettuali pubblici di idee liberali possiedono “il coraggio di lottare in solitudine per la verità” (p. 75) e sono “osservatori impegnati, che sopportano i conflitti puntando sulla ragione” (p. 130) e che “sottopongono quanto osservato a una critica distruttrice” (p. 145), i combattenti della resistenza “hanno la stoffa dei martiri e dei santi” (p. 130) e, nella loro qualità di “organizzatori attivi”, puntano a “cambiare ciò che viene osservato” (p. 145), perseguendo il “tutto o niente” e manifestando, così, deversi tratti radicali affini a quelli già palesati da Tommaso Moro (1478-1535). Quest’ultimo, infatti, dimostrò di essere più coraggioso dell’amico Erasmo; inoltre, “[a] guidarlo era la lealtà al proprio giuramento e alle istituzioni, con le quali era cresciuto e alle quali aveva votato la propria vita. Per esse pagò il prezzo supremo” (p. 126).

Naturalmente, ciò non toglie che, in certe situazioni critiche, alcuni intellettuali pubblici siano passati alla resistenza attiva e abbiano dato prova di eroismo; nondimeno, l’immaginaria societas Erasmiana delineata dall’Autore affronta di norma il tempo di totalitarismo creando i propri vincoli: “la costrizione all’adattamento temporaneo, quella al ritiro per alcuni anni, quella a subire persecuzioni, e soprattutto quella all’esilio” (p. 145).

Dahrendorf individua tre personaggi che, nel XX secolo, possono ritenersi Erasmiani a pieno titolo: si tratta di Raymond Aron (1905-1983), Isaiah Berlin (1909-1997) e Karl Popper (1902-1994), celebri non meno che solidi pensatori liberali a tutto tondo cui viene dedicata una parte cospicua del volume. Tutti e tre questi intellettuali pubblici consacrarono la propria vita in misura particolare alla pugnace salvaguardia della propria indipendenza e all’inesausta ricerca della verità, onde non scesero mai a compromessi con le idee e coi sistemi politici totalitari.

A gradini più bassi dal punto di vista della “purezza” delle qualità erasmiane, invece, stanno coloro che, spesso in età giovanile, mascherarono temporaneamente la loro battaglia individuale per la verità dietro una facciata conformista, al fine di non urtare i regimi illiberali dei propri paesi. Di questo genere di Erasmiani imperfetti fanno parte, secondo l’Autore, Norberto Bobbio (1909-2004), Jan Patočka (1907-1977), Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969), Hannah Arendt (1906-1975) e Theodor Eschenburg (1904-1999).

Dahrendorf riserva alle figure di Bobbio e Eschenburg un gran numero di pagine e diverse interessanti considerazioni, le quali possono essere in un certo modo viste come paradigmatiche dei casi degli intellettuali pubblici che incorsero in occasionali e tutto sommato non gravi cedimenti ai totalitarismi.

Dopo aver ripercorso le principali tappe biografiche di Norberto Bobbio, dal precoce interesse per la politica alla sua trasformazione – nel secondo dopoguerra – dapprima nel “portavoce (senza partito) della sinistra liberale” e poi in “una specie di intellettuale di Stato tanto che il presidente Pertini lo nominò nel 1984 senatore a vita” (p. 87), il sociologo tedesco ne mette in risalto le indubbie attitudini di osservatore impegnato, o – come lo stesso Bobbio si esprimeva – di “intellettuale mediatore”, orientato in primis alla ricerca razionale della verità e fautore di una cultura militante che non pretendeva di poter essere sempre e comunque tradotta in immediata azione politica [2] .

Sennonché, Dahrendorf mostra come il percorso del filosofo italiano non sia stato perfettamente lineare come quello di un Aron, di un Berlin o di un Popper. Accanto a numerose ed ineccepibili dimostrazioni delle più cristalline qualità erasmiane, infatti, l’esistenza di Bobbio – come venne alla luce pochi anni or sono – non fu del tutto immacolata. Nel 1993 riemerse dagli archivi una lettera dell’8 luglio 1935 indirizzata al Duce, con la quale l’allora giovanissimo docente universitario Bobbio, sospettato – a ragione – di essere membro del gruppo antifascista Giustizia e libertà, fece professione di fede nel regime mussoliniano per evitare le persecuzioni poliziesche e salvaguardare le sue possibilità di vita accademica; dopo aver spedito la lettera, cionondimeno, egli non solo non interruppe la sua attività clandestina volta a scalzare il fascismo, ma la intensificò. A giudizio di Dahrendorf, se contestualizzata, questa singola azione di consapevole opportunismo va senz’indugio rubricata come “peccato veniale”. Posto, infatti, che “[s]olo dei santi potrebbero osare scagliare la prima pietra” (p. 103), nell’ambiente di Bobbio “[t]utti conoscevano le sue convinzioni liberali e sociali, e sapevano che non erano conciliabili col fascismo […]. Con le sue dichiarazioni, non danneggiò nessuno […]. Il suo adattamento al regime si mantenne, peraltro, entro limiti ristretti; il suo cammino rimase costantemente più vicino alla ricerca di alternative liberali che non all’appoggio a Mussolini” (ibid.).

Darhendorf accenna, poi, ad un presunto “debole” dell’ormai maturo “liberalsocialista” Bobbio per il comunismo, specie nella sua versione cinese: anzi, scrive lo studioso tedesco, è innegabile che egli “ammirasse Mao, uno dei grandi assassini di massa del secolo” (p. 89), il che mette in risalto un’altra imperfezione nel profilo erasmiano del filosofo italiano.

Passato ad esaminare il caso di Theodor Eschenburg, personaggio relativamente poco noto fuori della Germania [3] , Dahrendorf lo descrive come “un Erasmiano di medio livello” (p. 107), giacché egli durante il nazismo smise di pubblicare e perseguì una cosciente strategia di sopravvivenza. Nemico del regime hitleriano, pur senza esporsi, il giovane intellettuale tedesco divenne dirigente dell’Unione degli industriali tedeschi dei bottoni e delle chiusure lampo, e cercò sempre di tenersi il più possibile fuori della politica. Trascorsi gli ultimi mesi della guerra in Svizzera, dopo il 1945 Eschenburg fu docente e poi rettore universitario, nonché consigliere di Stato del Württemberg meridionale. A parere di Dahrendorf, se “[n]on ci sono dubbi sulla sua passione per la ragione, e neanche sulla sua qualità di osservatore impegnato del tempo”, la scelta “di sospendere il suo impegno per motivi di opportunità, dimostra le sue difficoltà sul versante del coraggio della lotta individuale per la verità” (ibid.). È peraltro evidente, secondo l’Autore, che le critiche che gli si possono muovere, “riguardano soprattutto quello che non ha fatto; non ci sono fatti specifici a suo carico” (ibid.).

Dahrendorf continua la sua trattazione soffermandosi sugli Erasmiani che ebbero una vocazione tardiva, cioè su coloro che in un primo tempo avevano ceduto alla seduzione dei totalitarismi. Tra i rappresentanti più significativi di questo genere di intellettuali pubblici, vengono citati Manès Sperber (1905-1984) e Arthur Koestler (1905-1983). Scrittore anglo-ungherese di un certo successo, quest’ultimo confidò per un breve periodo nella speranza bolscevica, ma molto presto lasciò il Partito Comunista, iniziando a battersi con veemenza contro tutti gli autoritarismi. Lo psicologo, saggista e narratore Sperber, invece, nacque nella Galizia orientale (a quel tempo, ancora sotto il dominio austro-ungarico); dapprima comunista e antinazista, egli divenne poi, nel 1938 a Parigi, un deciso e polemico Erasmiano, e si adoperò, da allora in avanti, al fine di porre in adeguata evidenza quelli che considerava i punti di contatto tra il regime hitleriano e quello staliniano.

Dahrendorf passa anche in rassegna alcuni dei personaggi che, pur essendo vissuti in realtà politico-sociali aliene dai totalitarismi, evidenziarono caratteristiche inoppugnabilmente erasmiane.

Per quanto riguarda il contesto elvetico, egli si sofferma sulla filosofa Jeanne Hersch (1910-1982), discepola svizzera di Karl Jaspers (1883-1969) la quale, nel 1939, entrò a far parte del gruppo socialista di Ginevra con l’obiettivo di lottare contro il nazismo, il fascismo e il bolscevismo in nome di quei beni preziosi che ella definiva “libertà democratica”, “libertà responsabile” e “giustizia sociale”.

Al di là della Manica, nel frattempo, in quell’Inghilterra che da secoli veniva spesso indicata come una sorta di “luogo naturale” della libertà, ma che dall’inizio degli anni Trenta era contraddistinta dalla duplice presenza di un gran numero di illustri intellettuali e scienziati di fede marxista-leninista e dell’animosa British Union of Fascists guidata da sir Oswald Mosley (1896-1980), il narratore e saggista George Orwell (al secolo Eric Arthur Blair: 1903-1950), nato in India e figlio di un alto funzionario britannico, metteva al centro di tutto l’individuo, la libertà e l’uguaglianza delle opportunità, mostrando – al medesimo tempo – i tratti vessatori, annichilenti ed inumani degli Stati totalitari [4] .

Dahrendorf si occupa, infine, degli intellettuali pubblici dell’America settentrionale, rilevando che gli Erasmiani di quella parte del mondo “sono persone più pratiche dei loro colleghi europei” (p. 172), come ben testimoniano i casi del diplomatico e pubblicista statunitense George Kennan (1904-2005) e dell’economista canadese – naturalizzato statunitense nel 1937 – John Kenneth Galbraith (1908-2006). Entrambi furono acerrimi nemici del nazismo e del comunismo, da loro intesi come versioni differenti dell’analogo tentativo di pervenire ad un dominio totale sull’uomo e sulle cose. Dapprima, essi ricoprirono incarichi delicati e prestigiosi al servizio dell’amministrazione e della diplomazia degli Stati Uniti, contribuendo al rinnovamento politico ed economico del loro paese e di diversi altri; in seguito, si ritirarono nelle rispettive “celle accademiche” (Kennan, all’Institute of Advanced Study di Princeton; Galbraith, invece, presso la Harvard University) per dedicarsi ai propri studi e all’insegnamento.



[1] R. Dahrendorf, Versuchungen der Unfreiheit. Die Intellektuellen in Zeiten der Prüfung, München, Beck, 2006; edizione in lingua italiana: R. Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, traduzione di M. Sampaolo, Roma-Bari, Laterza, 2007. Nel nostro testo, le citazioni rimandano alla traduzione italiana dell’opera; le pagine da cui si attinge, vengono indicate tra parentesi.

[2] Per un orientamento sulla figura e sul pensiero di questo vero e proprio maître à penser italiano, vedi P. Degani, I diritti umani nella filosofia politica di Norberto Bobbio, La Spezia, Agorà, 1999; L. Ferrajoli, P. Di Lucia (a cura di), Diritto e democrazia nella filosofia di Norberto Bobbio, Torino, Giappichelli, 1999; T. Greco, Norberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica, Roma, DE, 2000; AA.VV., Il pensiero di Norberto Bobbio. Il suo socialismo liberale e i dilemmi della democrazia, Roma, Donzelli, 2002 (trattasi di un numero speciale della rivista «Reset»); Redazione di «Reset», C. Ocone (a cura di), Bobbio ad uso di amici e nemici, postfazione di G. Amato,Venezia, Marsilio, 2003; G. e A. Crifo, La giusfilosofia di Norberto Bobbio. Saggio filosofico-giuridico, Roma, s.n., 2004; G. Pecora, Per Norberto Bobbio, Napoli, ESI, 2004; L. Córdova [ma: Cordova] Vianello, P. Salazar Ugarte (coordinadores), Política y derecho. [Re]pensar a Bobbio, México - Buenos Aires, Siglo XXI Editores, 2005; M.L. Ghezzi, La distinzione tra fatti e valori nel pensiero di Norberto Bobbio, Genève, Thémis, 2005 (edizione in lingua castigliana: M.L. Ghezzi, La distinción entre hechos y valores en el pensamiento de Norberto Bobbio, traducción de S. Perea Latorre, Bogotá, Universidad Externado de Colombia, 2007); V. Pazé (a cura di), L’opera di Norberto Bobbio. Itinerari di lettura, Milano, Angeli, 2005; AA.VV., Una semana con Bobbio. El pensamiento jurídico y político de Norberto Bobbio. 22, 25, 26, 27 y 29 de octubre de 2004, Escuela libre de derecho de Puebla, A.C., Puebla, Escuela libre de derecho de Puebla, 2005 (numero speciale della «Revista de la Escuela libre de derecho de Puebla, A.C.»); M. Revelli (a cura di), Norberto Bobbio. Maestro di democrazia e di libertà, Assisi, Cittadella Editrice, 2005; Pietro Rossi (a cura di), Norberto Bobbio tra diritto e politica, Roma-Bari, Laterza, 2005; M. Agudelo Ramírez, El poder político. Su fondamento y sus límites desde los derechos del hombre. Una aproximación a la filosofía del poder en la obra de Norberto Bobbio, Bogotá, Temis, 2006; L. Córdova [ma: Cordova] Vianello (coordinator), Norberto Bobbio: cuatro interpretaciones, México, Universidad nacional autónoma de México - Pontificia Universidad católica del Perú, 2006; A. Filippi (dirección de), Norberto Bobbio y Argentina. Los desafíos institucionales de la democracia integral, introducción de A. Filippi, epílogo de L. Ferrajoli, s.l. [ma: Buenos Aires], Universidad de Buenos Aires (Facultad de derecho), 2006; R. Giannetti, Tra liberaldemocrazia e socialismo. Saggi sul pensiero politico di Norberto Bobbio, Pisa, Plus, 2006; T. Stefanelli, Diritto e potere nel pensiero di Norberto Bobbio, Bologna, Bonomo, 2006; C.L. Pasold, Ensaio sobre a Ética de Norberto Bobbio, Florianópolis, Conceito Editorial, 2008; P. Portinaro, Introduzione a Bobbio, Roma-Bari, Laterza, 2008; D. Zolo, L’alito della libertà: su Bobbio. Con venticinque lettere inedite di Norberto Bobbio a Danilo Zolo, Milano, Feltrinelli, 2008 (il volume raccoglie saggi che Zolo ha pubblicato su Bobbio dal 1985 al 2004, oltre che – come indica il titolo – venticinque lettere inedite del filosofo torinese all’Autore; una presentazione del libro e un forum ad esso dedicato si trovano all’indirizzo web < https://www.juragentium.unifi.it/it/QJGF/index.htm >). È on line il portale delle iniziative organizzate in questi mesi per celebrare i cento anni dalla nascita di Bobbio: < https://www.centenariobobbio.it >.

[3] In Italia, ad esempio, ebbe scarso seguito di studi ed approfondimenti la pionieristica versione di Über Autorität (Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1965): Th. Eschenburg, Dell’autorità, traduzione italiana di L. Malaguzzi Valeri, Bologna, Il Mulino, 1970.

[4] Per approfondimenti sugli intellettuali d’Oltremanica nei decenni centrali del Novecento, vedi A. Cassani, Intellettuali e socialismo nella cultura britannica del XX secolo, a cura di D. Felice, premessa di A. Santucci, prefazione di G. Marramao, Bologna, CLUEB, 2003 (trattasi di un libro postumo che raccoglie quattro ampi saggi già apparsi singolarmente – tra il 1974 e il 1980 – nella «Rivista di filosofia»; Anselmo Cassani [1946-2001] è stato docente di Antropologia, Storia della Filosofia moderna e Storia della Filosofia contemporanea presso le Università di Bologna e di Ferrara). A proposito di tale volume, ci permettiamo di rimandare alla nota critica che abbiamo pubblicato un mese fa in questa medesima sezione di «Araucaria» digitale, all’indirizzo < https://www-en.us.es/araucaria/otras_res/2009_4/resegna_409_1.htm > [6 aprile 2009].

 

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