Sección digital Otras reseñas mayo de 2009

Vincenzo Sorrentino, Il pensiero politico di Foucault, Roma, Meltemi, 2008. Pp. 309.

Gianmaria Merenda [1]

 

Archeologicamente corretto. Vincenzo Sorrentino, in questo denso ma leggibilissimo testo, vuole «individuare le linee di continuità e le connessioni teoriche che consentono di attribuire un profilo specifico al discorso del filosofo francese, dando conto, allo stesso tempo, dei mutamenti di prospettiva che costellano le sue ricerche e del carattere problematico che assume la compresenza di alcuni registri della sua riflessione» (p. 10). Queste sono le intenzioni apertamente dichiarate in introduzione dall’autore, intenzioni che vengono sempre messe alla prova lungo tutto il percorso di questo saggio sul pensiero politico di Foucault.

Si deve immediatamente dare atto a Sorrentino di aver approntato uno studio foucaultiano estremamente documentato di riferimenti all’opera del filosofo francese. Si può correre il rischio di perdersi nelle citazioni, nelle note e nei riferimenti bibliografici, tanti sono, ma non è certo un difetto. Nella ricerca gli infiniti rimandi a pagine, a testi e ad interviste di Foucault non sono meno di due o tre alla volta e capita spesso che il rimando allo stesso argomento sia fatto a più opere e a più autori che trattano il medesimo argomento. Inoltre, i termini e i concetti più importanti di Foucault sono spesso riportati con l’accompagnamento della versione originale francese, come per lasciare la massima libertà al lettore di “aggiustare” il tiro della traduzione secondo le sfumature che le proprie esigenze di ricerca possono richiedere. Questo, per dire che l’opera di Sorrentino stordisce per quel che concerne la padronanza del mezzo.

Venendo al contenuto del testo: il saggio ricalca la dinamica archeologica di Foucault. Sorrentino cerca incessantemente gli indizi che hanno portato ad un dato concetto o ad una prospettiva problematica del filosofo francese. Non mancano di essere messe in evidenza le incongruenze, le aporie e le difficoltà che alcuni discorsi foucaultiani portano con sé.

L’attacco del libro è affidato ad una citazione tratta da un’intervista del 1980: «La curiosità […] evoca la ‘cura’, l’attenzione che si presta a quello che esiste o potrebbe esistere; un senso acuto del reale, che però non si immobilizza mai di fronte a esso» (p. 7). Una citazione che individua immediatamente il metodo Foucault. Sorrentino, infatti, ci avvisa della sensibilità del filosofo nell’accostarsi alla realtà, del modo di indagarne la struttura, le dinamiche, ma anche della possibilità, sempre esercitata, di rivedere i risultati dell’indagine con differenti strumenti teoretici.

Il lavoro filosofico di Foucault è presentato suddiviso in tre momenti paradigmatici: un primo momento archeologico, ascrivibile alle ricerche degli anni Sessanta, che indaga «sulle pratiche discorsive in cui si articola il sapere» (p. 8); un secondo rivolgimento della prospettiva foucaultiana si svolge negli anni Settanta e «lo spinge a porre al centro della propria riflessione le relazioni di potere» (p. 8); ed infine, tra gli anni Settanta e Ottanta, «l’analisi delle modalità del rapporto con se stesso attraverso le quali l’individuo si costituisce e si riconosce come soggetto» (p. 8). Sorrentino argomenta che questi tre macro-periodi non sono affatto impermeabili: anzi, a suo avviso, sarebbe fuorviante tentare di leggere Foucault linearmente o cronologicamente, tanto sono intrecciati gli sguardi prospettici che il filosofo getta sulla realtà.

Una prima inquadratura del Foucault politico si trova nel secondo capitolo, nel quale si affronta l’analitica del potere. «Contro ogni astratta metafisica si tratta, dunque, di elaborare una fisica del potere capace di cogliere il campo reale dei rapporti di potere, la loro meccanica concreta nella vita quotidiana» (p. 61), nella negazione di un soggetto ultimo incondizionato, il potere agisce fisicamente nel reale. Dunque, una percezione analitica del reale che richiede idonee «precauzioni di metodo» (p. 63): studiare il potere «là dove diventa capillare»; domandarsi come funzionano i rapporti di potere; dato che il potere “transita” negli individui, indagare la nascita dell’“effetto individuo” che subisce questo passaggio; analizzare il potere nell’itinere tra la sua micro-fisica e la sua macro-fisica; ed infine, tenere ben presente il fatto che il potere non si può esercitare «senza organizzare degli apparati di sapere che non siano riducibili alle ideologie».

Queste precauzioni, però, sarebbero un’arma spuntata senza un capovolgimento teoretico messo in atto da Foucault: ci si deve disfare del Leviatano di Hobbes e della concezione giuridico-negativa del potere che esso comporta, perché non permette una corretta analisi dei rapporti di potere, e contrapporgli un “modo tecnico-positivo” (p. 65) che nella sua positiva produzione di cose, di piacere, di forme di sapere, di discorsi sappia essere più pervasivo dell’obsoleto potere sovrano.

A questo punto, Sorrentino pone due questioni riguardo all’operazione di Foucault. Una prima problematizzazione nasce dall’interrogativo se questa dinamica di potere, positiva e produttiva di sapere, sia riferibile solo alla modernità, oppure se «tale carattere sia costitutivo di ogni tecnica di potere» (p. 67). Riferendosi a tre differenti testi di Foucault – rispettivamente, La volontà di sapere (1976), Bisogna difendere la società (corso del 1976, pubblicato nel 1998) e The Subject and the Power (1982) – Sorrentino indica «un’oscillazione, che percorre l’intera analitica, tra uno studio dei poteri e uno studio del potere, tra un’analisi geograficamente e teoricamente situata di specifiche tecniche di potere e un’analisi delle caratteristiche generali del potere, delle sue costanti» (p. 67). La seconda problematizzazione è situata nella configurazione del potere come «una sorta di dimensione ‘originaria’ […]. Il potere non si sovrappone alla realtà, ma la conforma dall’interno» (p. 68). Qui Sorrentino corre in soccorso del filosofo francese scovando un passo di un’intervista in cui Foucault disse che il potere non è in grado di giustificare tutto. Altre relazioni si intrecciano, nella vita degli uomini, assieme alle relazioni di potere.

Relazioni che si mettono ben in luce nel terzo capitolo, che affronta il bio-potere. Qui, dopo un’attenta disamina del concetto di bio-potere sviluppato da Foucault, affrontando la tanatopolitica e il razzismo, Sorrentino colloca un’interessante citazione tratta da Bisogna difendere la società: vi si legge che Foucault intendeva il nazismo come uno «sviluppo parossistico dei nuovi meccanismi di potere instaurati a partire dal XVIII secolo. Esso ha solamente spinto alle estreme conseguenze il gioco, proprio del funzionamento di tutti gli Stati, tra il diritto sovrano di uccidere e i meccanismi del bio-potere. Quella nazista, per Foucault, è la società più attenta a ‘gestire’ la vita che sia mai esistita, o in ogni caso progettata» (pp. 96-98). La società tedesca della seconda metà degli anni Trenta e dell’inizio degli anni Quaranta del Novecento ha avuto “attenzione” alla vita, ma ha anche continuato a mantenere in sé il diritto sovrano di uccidere con i ben noti disastrosi risultati. Il rammarico di Sorrentino, e di tutti noi, si legge poco sotto questo brano quando, citando il Giorgio Agamben di Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, è messa in evidenza la mancata analisi della bio-politica nelle società totalitarie del Novecento.

Ciò che sembra interessare più Foucault è invece il “potere pastorale”. Un’antichissima tecnica di potere che ha in sé le dinamiche del pastore, una persona che controlla tutto il gregge, e che quindi si lega più al gregge di individui che al territorio. Massima espressione di questa modalità di gestire il potere è il cristianesimo. «Il potere pastorale è tutt’altro che tramontato; infatti aspetti centrali della sua meccanica hanno trovato una larga diffusione nell’epoca moderna. […] Lo Stato assistenziale rappresenta un tentativo di far coesistere il potere politico esercitato su dei soggetti ‘giuridici’ con quello pastorale esercitato su degli ‘individui viventi’» (pp. 99-100). Un potere analitico che permea la vita di ogni individuo, una bio-politica della popolazione che nella governamentalizzazione del potere dello Stato estende la sua influenza ad ogni ambito della vita.

Sorrentino, poi, esplica ed analizza uno dei concetti più interessanti di Foucault: le tecniche disciplinari. «Strumento essenziale del governo sono le tecniche disciplinari che [...] consentono la gestione capillare della popolazione attraverso un intervento diretto sugli individui» (p. 103). Tra queste tecniche disciplinari quella che più interessa il filosofo francese è certamente la disciplina del corpo, perché attraverso essa è l’anima degli individui ad essere prodotta: «Non bisognerebbe dire che l’anima è un’illusione, o un effetto ideologico. Ma che esiste, che è una realtà, che viene prodotta in permanenza, intorno, alla superficie, all’interno del corpo […]. Quest’anima reale e incorporea, non è minimamente sostanza; è l’elemento dove si articolano gli effetti di un certo tipo di potere e il riferimento di un sapere, l’ingranaggio per mezzo del quale le relazioni di potere danno luogo a un sapere possibile, e il sapere rinnova e rinforza gli effetti del potere. […] L’anima, effetto e strumento di una anatomia politica; l’anima, prigione del corpo» (p. 106). Questa lunga citazione è tratta da Sorvegliare e punire e descrive in pochi tratti come la gestione disciplinare di un corpo possa creare un’anima incapace di essere libera dagli effetti del potere.

Dall’anima schiava del potere e delle sue discipline l’analisi del pensiero foucaultiano si sposta, nel quarto capitolo, alla sessualità e alle tecniche del sé. Qui si trovano concretizzati alcuni degli aspetti più invasivi, dal punto di vista di Foucault, della cristianizzazione del potere pastorale descritto poco sopra: il sacramento della confessione è trattato come il dispositivo panoptico più radicale, un dispositivo attraverso il quale la Chiesa ha effettivamente controllato i propri fedeli, controllando il corpo, la sessualità, e quindi l’anima che, si è visto nel capitolo precedente, vi è imprigionata (cfr. pp. 132-134). Il raccontarsi del fedele nell’ambito della confessione produce un discorso della verità che andrà consistentemente ad influire e a modificare la sua vita.

Nel quinto capitolo, Sorrentino illustra la posizione assunta da Foucault per “resistere” alle dinamiche disciplinari fin qui analizzate. Foucault, dopo aver descritto l’implicazione che le discipline di potere hanno sul corpo e sull’anima degli individui, esorta gli intellettuali ad assumere una posizione critica rispetto al potere; chiede, in poche parole, di modificare il reale: «il mio problema è di operare un’interpretazione, una lettura di un certo reale, che sia tale che da un lato quest’interpretazione possa produrre degli effetti di verità e che dall’altro questi effetti di verità possano diventare strumenti all’interno di lotte possibili» (p. 159).

Un ulteriore passo nell’approfondimento della filosofia foucaultiana si ha nel sesto capitolo. È interessante questa citazione, tratta da What is Enlightenment?: «Dobbiamo stare sulle frontiere. La critica è proprio l’analisi dei limiti e la riflessione su di essi» (p. 189). L’interpretazione della realtà, richiesta da Foucault, si tradurrebbe in una posizione analitica e ricognitiva dei limiti della realtà stessa; lì, infatti, si producono gli effetti del potere, lì si produce la resistenza al potere che l’intellettuale deve opporvi.

Nel capitolo settimo è messa in risalto una dinamica interna alla filosofia di Foucault. Questa non vuole esser prescrittiva, legislatrice, non vuole assolutamente imporre alcunché. Foucault interroga il reale, pone in evidenza i fatti, sviscera le dinamiche disciplinari, riconsidera i rapporti di potere. Lascia che sia l’individuo a costruire, a configurarsi, il proprio carattere. «Al contrario di quanto accade nella tradizione metafisica, siamo qui in presenza di una concezione per la quale non si danno differenti gradi di realtà sulla base di una gerarchia ‘ontologica’ […], bensì un’articolazione interna al vivente resa possibile da una gerarchizzazione meramente ‘prospettica’ dei suoi elementi configuranti» (p. 222).

Sentieri interrotti. L’ultimo capitolo, l’ottavo, è significativamente intitolato come l’opera heideggeriana. Qui si trova una decisa e interessante presa di posizione di Sorrentino: «La mancanza in Foucault di una riflessione adeguata sul nesso critica e argomentazione dialogica, oltre che di una pratica di giustificazione argomentativi delle proprie scelte di campo, credo dipenda anche dal fatto che egli non sviluppa alcune sue posizioni teoretiche» (p. 255).

I sentieri interrotti, dunque, sarebbero l’importanza del pensiero e delle pratiche comunicative, il rapporto tra verità e potere, il ruolo del filosofo e della filosofia nella società. Questi sono sentieri importanti, ma impegnativi e difficili, da percorrere. Di fatto, sono il nucleo teoretico della filosofia stessa. Non a caso, Sorrentino conclude il suo sforzo analitico, attorno alla filosofia politica di Foucault, ripensando politicamente al ruolo della filosofia: «un ruolo etico, che egli ritrova alle origini della storia di questo sapere, e che consiste nel porsi come una pratica di problematizzazione incentrata sulla complessa, fragile e talvolta rischiosa correlazione tra logos e bios» (p. 275).



[1] Una prima versione di questa recensione è uscita nella rivista elettronica «Recensioni filosofiche» (< www.recensionifilosofiche.it >), nel n. 35 del gennaio 2009 (<https://www.recensionifilosofiche.it/crono/2009-01/sorrentino.htm >).

 

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