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Brenda Biagiotti, Ágnes Heller. Vita quotidiana, bisogni e democrazia

Lecce, Milella, 2006. Pp. 252.

Thomas Casadei

 

Tra i rari studi monografici dedicati ad Ágnes Heller quello messo a punto, dopo lunghe e sistematiche ricerche, da Brenda Biagiotti spicca principalmente per due ragioni: prendendo in considerazione l’intera produzione dell’allieva di György Lukács, rende conto, in primo luogo, dello sviluppo di un pensiero in cui non mancano mutamenti di prospettiva, anche radicale, tipici di un itinerario intellettuale che si distingue per una costante autoriflessione critica; in secondo luogo, esso esaminando i nodi concettuali con i quali Heller si confronta in un dialogo aperto e incessante (teoria dei bisogni, ruolo e finalità del mercato, problema della libertà politica, ideale della rivoluzione quotidiana) ne sottolinea al contempo oscillazioni e ambiguità, aporie e zone d’ombra.

La prima parte del lavoro è opportunamente di carattere storico-descrittivo, configurandosi come un tentativo di esporre le considerazioni sviluppate da Heller, in strettissimo dialogo con Ferenc Fehér e György Márkus, in relazione alla struttura e all’assetto delle società dell’Est europeo dopo la fine della seconda guerra mondiale, ossia a quei sistemi che gli intellettuali della “Scuola di Budapest” definiscono «dittature sui bisogni» (cfr. pp. 23-39). Due sono in particolare gli aspetti che emergono come contributi originali offerti dagli allievi di Lukács: la categoria della dittatura sui bisogni, attraverso cui si tenta di mettere in evidenza gli effetti del dominio totalitario sugli individui, assumendo come criterio d’indagine la categoria dei «bisogni» (ciò che avviene attraverso un’analisi dei meccanismi di funzionamento del potere presenti in tali regimi e delle concrete condizioni di vita degli individui); l’elaborazione di una teoria in cui è centrale il ripensamento del ruolo e delle finalità del mercato, allo scopo di avanzare una proposta politica alternativa sia alle società capitalistiche sia a quelle del “blocco sovietico” («una concezione nella quale il pluralismo sociale e politico necessita anche della conservazione di alcune forme di rapporti mercantili a garanzia della tutela degli spazi di libertà civile e politica»: p. 16).

Tali origini storiche forniscono la necessaria introduzione alla problematica più propriamente antropologica che sta al cuore dell’opera della filosofa ungherese. L’analisi del pensiero di Heller sulla condizione umana è minuziosamente condotta nel corso del secondo capitolo del libro nel suo rapporto con la «natura» e con la «storia», prestando particolare attenzione al tema del bisogno, e in particolare al tema del «bisogno umano ricco». Proprio alla luce di quest’ultimo e del tema dei bisogni umani, il pensiero marxiano viene riletto e interpretato nel contributo che per primo segna l’imporsi di Heller come intellettuale e studiosa: La teoria dei bisogni in Marx (1974). Biagiotti, nel preciso intento di «mettere in atto «una scomposizione dei caratteri costitutivi dell’antropologia helleriana», parte da «un esame preliminare della dimensione “naturale” dell’essere umano e di quei bisogni che appaiono più direttamente legati ad essi». Ella tuttavia rifiuta categoricamente di porre a fondamento della propria antropologia un’idea immutabile e sovrastorica dell’essere umano quale quella osservabile nelle varie versioni del giusnaturalismo; in linea di continuità con la tradizione marxista, è sua convinzione che «ciò che l’uomo è risulta sempre strettamente connesso alle condizioni storico-sociali che ne determinato, a seconda dei contesti e delle varie epoche, i caratteri» (p. 55). Dalla risoluzione della «natura» nella storia deriva la concezione che anche ogni particolare sistema di bisogni è sempre storicamente determinato, ma si genera anche l’ideale filosofico del valore dell’«uomo ricco di bisogni» (p. 75). Quest’ultimo è un ideale già presente nelle riflessioni di Marx (che ai Manoscritti economici-filosofici aveva consegnato la densa espressione: «L’uomo ricco è al contempo l’uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane»), e anzi esso rappresenta «il cuore dell’antropologia marxiana della quale la Heller si appropria» (p. 84). Sennonché Heller, per altri versi, si distanzia da Marx: rigettando il principio che la storia si vada svolgendo nella direzione di un esito ultimo e conclusivo, con l’ideale dell’uomo ricco di bisogni, la filosofa ungherese «non vuole rappresentare un’ideale di redenzione quanto piuttosto quella dimensione di valore in grado di assumere i caratteri di un ideale regolativi verso il quale l’agire umano dovrebbe tendere e sulla base del quale il processo di trasformazione sociale dovrebbe orientarsi, ma che si situa probabilmente al di là delle concrete possibilità di realizzazione» (p. 99). Sotto questo profilo, nozione-chiave – ma come nota opportunamente Biagiotti, anche ambigua e problematica – diviene quella dei «bisogni radicali», quella categoria che dovrebbe incarnare «la possibilità di una trasformazione delle condizioni concrete e di una interruzione del processo di “omogeneizzazione” dei bisogni umani» (p. 87). Con i bisogni radicali «si assiste ad una sostanziale irruzione dell’elemento soggettivo nella storia» e dunque al ripristino, a livello teorico, di una nuova centralità degli individui come «soggetti del cambiamento» (cfr., su questo rilevante aspetto, pp. 95-100), d’altra parte, proprio questa nozione denota uno dei punti più fragili all’interno della filosofia helleriana: non solo, osserva l’autrice, non si riesce a rendere conto delle modalità attraverso le quali tali bisogni dovrebbero originarsi, ma, in aggiunta, il loro emergere, svincolato da ogni necessità storica, «non può che risolversi nella speranza di una loro realizzazione»: la concreta realizzazione di essi «rimane confinata al campo della possibilità» (p. 92).

Strettamente connessa al discorso sull’antropologia filosofica è la «teoria della vita quotidiana», e infatti i bisogni radicali svolgono un ruolo fondamentale entro la concezione helleriana della «rivoluzione della vita quotidiana», indagata da Biagiotti nel terzo capitolo dell’opera. Il tema della vita quotidiana – cui si riconnette anche quello del lavoro (cfr. pp. 108-130) – solleva il problema del rapporto tra singolo individuo e contesto sociale di riferimento (cfr. p. 130), ovvero quello della relazione tra individuo e comunità, che è poi alla base delle concezioni helleriane della libertà (cfr. pp. 134-135 e 206-208) e della democrazia (cfr. p. 137 e soprattutto cap. V). Tenendo sullo sfondo l’«affermazione della necessaria pluralità delle forme di vita» (p. 140) e la possibile convivenza di una «pluralità di valori» (p. 137), Heller avanza l’idea di un «individuo comunitario» (cfr. pp. 131, 135 e 141): «individuo e comunità non sono termini che si escludono reciprocamente, ma vengono riconnessi in un’armonica integrazione». Pertanto – entro una visione ancora filosofica della storia nella quale l’ideale della comunità svolge quasi il ruolo di sintesi dialettica – «affermazione dell’individualità e maturazione di un contesto sociale costituito da una pluralità di cellule comunitarie non sono elementi in contrasto, ma i fondamenti imprescindibili del processo di rivoluzione della vita quotidiana» (pp. 138 e 139).

Svolta l’analitica ricostruzione dell’antropologia di Heller, l’autrice affronta le sue riflessioni più recenti, consegnate ad un complesso di scritti vastissimi per obiettivi di ricerca e interessi. La tesi interpretativa di Biagiotti, lucidamente esplicitata nel quarto capitolo, è che al di là di quello che appare come «un evidente mutamento di prospettiva», è possibile rinvenire «una qualche forma di continuità», «almeno relativamente ad alcuni aspetti» (p. 143, cfr. p. 17). Se, da un lato, l’ingresso della categoria della contingenza all’interno del pensiero della filosofa ungherese (come mostrano gli scritti che compongono la «trilogia morale»: General Ethics [1988], A Philosophy of Morals [1990] e An Ethics of Personality [1996]) segna una peculiare «analisi della modernità» (cfr. pp. 154-165) che rompe con i canoni del marxismo, facendo dell’«esser gettati nella libertà» la cifra della «condizione umana» (p. 168), da un altro lato, l’opzione morale sottesa alla «scelta esistenziale» sembra attingere ad una «determinata dimensione di valore» (p. 176) che ripropone da parte di Heller l’esigenza di una scelta – normativamente orientata – che assuma «i caratteri di un rapporto “autentico” con l’alterità» (p. 175) e che continua a vedere in Marx un’importante fonte di ispirazione (cfr. p. 149).

Delineati i presupposti antropologico-filosofici, nonché la concezione della storia e della condizione umana sviluppata da Heller nelle opere scritte sul finire degli anni Ottanta e nel corso del decennio successivo, Biagiotti giunge a tratteggiare, nel corso del quinto capitolo, i caratteri della proposta politica della filosofa magiara: essa chiama in causa la nozione dei bisogni e quella del linguaggio/comunicazione.

Il riconoscimento della «pluralità dei bisogni umani» implica il riconoscimento del diritto di ogni individuo ad esprimere i suoi propri bisogni ma, al tempo stesso, Heller per non cadere nelle maglie di un grigio indifferentismo morale, presuppone una possibilità di distinguere tra essi (cfr. pp. 183 e 194) e dunque di individuare un «indice di priorità»: ciò che consente di svolgere tale distinzione è l’ideale della ricchezza umana incarnato dal concetto, marxiano, di «uomo ricco di bisogni» da cui promanano la prospettiva del «radicalismo di sinistra» e le sue fondamentali istanze etiche (cfr. p. 195).

Il modello politico che, nelle intenzioni di Heller, si costituisce come alternativa sia alla società capitalistica sia alle realtà del “socialismo reale” è rappresentato da una forma democratica di convivenza all’interno della quale un’attenzione particolare – in genere sottovalutata dagli interpreti – viene ad essere rivolta alle procedure comunicative e alle regole che ne stanno a fondamento, correlando la democrazia all’«intesa comunicativa» (cfr. pp. 197-216).

Il percorso compiuto dalla filosofa ungherese approda così ad una sorta di «radicalismo democratico socialista», con il quale si può intendere «l’ideale di una forma di organizzazione politica ispirata ai principi fondamentali del socialismo fondata su meccanismi di potere democratici volti a perseguire una sempre più vasta partecipazione popolare» (p. 131; cfr. pp. 198). Un tentativo originale, quello sviluppato da Heller, di riflettere sulle possibilità concrete del socialismo proprio a partire dalle potenzialità inespresse della democrazia, ma anche di coniugare la «tematica dei valori» – autentica «costante» del pensiero dell’autrice e ciò che ne mantiene progressivamente, al di là di evidenti fratture nel corso del suo sviluppo, i presupposti teorici – entro una «teoria generale della democrazia come prassi comunicativa» (cfr. pp. 216-222).

 

ISSN 0327-7763  |  2010 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar