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Marco Ciardi, Reazioni tricolori. Aspetti della chimica italiana nell’età del Risorgimento, Milano, Franco Angeli, 2010. Pp. 197.
Piero Venturelli
Ben consapevole che nella storia dell’Occidente non si sono mai avute epoche contraddistinte da una vera e propria opposizione tra cultura scientifica e cultura umanistica, Marco Ciardi prende anche in questo suo libro [1] le distanze dagli studi che si muovono esclusivamente nell’ambito di rigidi settori disciplinari accademici e assume come proprio obiettivo la riconsiderazione dell’effettiva importanza culturale del sapere scientifico nell’Italia ottocentesca, dalla storiografia troppo spesso misconosciuto a favore di quello letterario. Di grande rilievo fu, in particolare, il ruolo esercitato dalla scienza nell’età del Risorgimento italiano [2] , allorché fornì un apporto decisivo alla formazione dei singoli individui e dell’opinione pubblica più in generale. La diffusione della cultura scientifica, infatti, costituì senza dubbio uno degli elementi che, in quella travagliata fase storica, contribuirono di più alla maturazione di una coscienza nazionale, promuovendo le idee di libertà, unità e tolleranza, imprescindibili per la crescita di un popolo.
Come illustra Ciardi, nei primi decenni del XIX secolo scienza e politica rappresentavano due aspetti complementari di un più ampio progetto di rinnovamento della cultura nazionale, che iniziò concretamente a definirsi durante le celebri Riunioni degli Scienziati Italiani. Nell’ambito di tali congressi, il primo dei quali si tenne a Pisa nel 1839, l’attività politica era una conseguenza piuttosto che un programma, in quanto furono la struttura e i contenuti scientifici delle riunioni a favorire lo sviluppo di una crescente consapevolezza politica nazionale. La necessità di radunare gli scienziati italiani in assemblee generali risultò soprattutto dovuta a motivi riconducibili allo sviluppo stesso della ragione scientifica, la quale stava tentando di liberarsi dai condizionamenti della politica tradizionale, anziché cercare di esserne espressione o strumento. Tutto ciò implicava, ovviamente, l’esaltazione sia del valore conoscitivo della scienza sia della dignità della figura del filosofo-scienziato sia della libertà di ricerca e di riunione dei filosofi-scienziati; ma non solo: vi si affiancava il riconoscimento dell’utilità dello sviluppo delle scienze anche per formare un’opinione pubblica aperta e uno Stato finalmente unitario. Alla rivendicazione dell’autonomia delle proprie ricerche, quindi, gli scienziati aggiungevano la volontà di impegnarsi per risvegliare il principio della fratellanza e della nazionalità nel popolo italiano, ben consapevoli di dover parzialmente surrogare alcune delle funzioni “naturali” dei poeti e dei narratori coevi, i quali non sembravano spesso in grado di fronteggiare in maniera adeguata i pesantissimi condizionamenti e le sistematiche censure del potere politico e di quello religioso.
In tale prospettiva, risulta abbastanza agevole comprendere i principali motivi degli slanci patriottici della maggior parte degli scienziati italiani dell’età risorgimentale. Posto che la scienza è per sua natura “trasversale” e parla la stessa lingua in tutti i laboratori del mondo, quella della conoscenza della realtà, essi consideravano paradossale avere maggiori difficoltà a comunicare con i propri connazionali che non con i colleghi stranieri. Accanto a ciò, la frammentazione politica veniva interpretata come il più grande ostacolo alla crescita della scienza italiana e, dunque, al riconoscimento dei suoi meriti a livello internazionale; da qui, l’esigenza di costruire e valorizzare la comunità scientifica nazionale attraverso la riunificazione politica.
Nel suo volume, Ciardi sceglie di soffermarsi in special modo sui chimici ottocenteschi, avendo rintracciato soprattutto in essi la ferma convinzione che le battaglie per la diffusione della cultura scientifica e per l’unità politica della nazione fossero strettamente collegate fra loro. Durante gli anni della Restaurazione, com’è noto, lo sviluppo della chimica fu assai problematico negli Stati italiani: dappertutto, i laboratori apparivano carenti di mezzi e le risorse finanziarie risultavano piuttosto limitate. Cionondimeno, i chimici italiani riuscirono a produrre contributi teorici di ottimo livello e importanti lavori sperimentali, destando l’attenzione dei colleghi appartenenti a nazioni europee dove stavano fiorendo scuole eccellenti ed esistevano diverse attrezzatissime sedi di ricerca. Allo stesso tempo, come si accennava, nell’età del Risorgimento i chimici italiani seppero svolgere un ruolo di primo piano nella formazione della comunità scientifica nazionale anche per il loro impegno in campo politico ed istituzionale.
Ciardi non manca poi di mostrare che i chimici contribuirono in maniera decisiva a garantire una considerevole circolazione delle idee (non solo scientifiche) tra gli Stati italiani e le altre nazioni europee anche grazie al fatto che alcuni di essi, sovente per ragioni di natura politica, operarono qualche tempo all’estero o vi si trasferirono senza far più ritorno in patria. Quando l’Unità d’Italia appariva ormai ad un passo dall’essere portata a compimento, la nascente scuola chimica nazionale ottenne il suo trionfo al Congresso di Karlsruhe (1860): l’opera dello scienziato e patriota Stanislao Cannizzaro, infatti, consentì di pervenire al riconoscimento a livello internazionale della fondatezza dell’ipotesi che Amedeo Avogadro aveva formulato nel 1811 («volumi uguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di particelle»).
Nelle pagine del suo libro, Ciardi prende in considerazione il contributo scientifico di un gran numero di personaggi di notevole caratura, non trascurando di contestualizzarne la biografia negli ambienti intellettuali ed accademici dell’epoca. Tra le figure che vengono approfondite con maggiore dovizia di particolari, sono da annoverare quelle di Gioacchino Taddei, Francesco Selmi [3] , Carlo Matteucci, Raffaele Piria, Fabrizio Mossotti, Macedonio Melloni e Cesare Bertagnini, oltre a quelle dei già citati Avogadro e Cannizzaro.
Ciardi ha inoltre cura di focalizzare l’attenzione sui dibattiti di natura scientifica e tecnologica che trovarono largo spazio su riviste culturali in senso lato, non esclusi influenti periodici che, come il milanese «Il Conciliatore» (1818-1819) e la fiorentina «Antologia» (1821-1832), contribuirono a rafforzare una coscienza nazionale e a promuovere il miglioramento delle condizioni materiali degli individui. Anche da questo, si comprende che gli intellettuali del tempo consideravano la scienza un fattore di non trascurabile rilievo nella formazione dell’Italia unita e degli Italiani. Peraltro, la scienza – la chimica, in special modo – influì profondamente sugli uomini di lettere, a partire da Giacomo Leopardi e Xavier de Maistre; quest’ultimo, suddito dei re sabaudi di Sardegna (la dinastia dei Savoia avrebbe poi regnato per quasi un secolo sull’Italia unificata), si dedicò fra l’altro in prima persona per molti anni alla ricerca, producendo contributi significativi già sul finire del Settecento.
Il libro, ricco di innumerevoli altri temi e motivi che non si possono toccare in questa sede, è di grandissimo interesse e costituisce senza dubbio un importante tassello nell’indispensabile opera di revisione delle più comuni e inveterate interpretazioni storiografiche del Risorgimento italiano, in genere non abbastanza attente al ruolo della scienza e degli scienziati nella maturazione di una coscienza collettiva nazionale, a pochi mesi dal 150° anniversario dell’Unità.
[1] Tra le innumerevoli pubblicazioni di Ciardi, ci si limita qui ad indicare le seguenti monografie: L’atomo fantasma. Genesi storica dell’ipotesi di Avogadro, Firenze, Olschki, 1995; La fine dei privilegi. Scienze fisiche, tecnologia e istituzioni scientifiche sabaude nel Risorgimento, Firenze, Olschki, 1999; Atlantide. Una controversia scientifica da Colombo a Darwin, Roma, Carocci, 2002; Breve storia delle teorie della materia, Roma, Carocci, 2003; Amedeo Avogadro. Una politica per la scienza, Roma, Carocci, 2006.
[2] Propriamente, l’epoca risorgimentale durò all’incirca mezzo secolo, dagli anni della Restaurazione (1815-1820) all’atto del trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma (1871). Fondamentali eventi di questo periodo storico furono la proclamazione dell’Unità e la nascita ufficiale del Regno d’Italia (1861), il cui territorio inizialmente non comprendeva né il Veneto (che rimase sotto la sovranità imperiale fino al 1866) né il Lazio (dominio papale fino al 1870).
[3] Di Selmi si è recentemente parlato nel testo di una lunga conversazione tra Achille Lodovisi e il sottoscritto: cfr. Francesco Selmi: scienze e lettere per unire l’Italia e fare gli Italiani. Un’intervista ad Achille Lodovisi, «Bibliomanie», a. VI (2010), n. 20, < URL: https://www.bibliomanie.it/venutrelli_intervista_achille_lodovisi_francesco_selmi_italia_unita.htm > [on line dal 13 gennaio 2010]. Sempre a proposito dell’illustre scienziato, scrittore, patriota e alto funzionario pubblico nativo della cittadina modenese di Vignola, ci permettiamo di rimandare anche al seguente articolo: Achille Lodovisi - Piero Venturelli, Francesco Selmi: scienze e lettere al servizio dell’idea nazionale, «Il pensiero mazziniano», a. LXIV (2009), fasc. 3 [ma: febbraio 2010], pp. 19-28.