Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades | Otras reseñas, febrero 2012
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Voltaire, Commentario sullo «Spirito delle leggi» a cura di D. Felice
Pisa, Ets, 2011, pp. 217.
Fabiana Fraulini
Il confronto con l’opera e il pensiero di Montesquieu accompagna alcune importanti linee della riflessione che Voltaire porta avanti dopo il 1748, l’anno in cui esce l’Esprit des lois. Questo interesse è dimostrato dalla presenza costante, in tutti i suoi maggiori scritti politici – a partire dalle Pensées sur le gouvernement, composte nel 1750-1751 –, di riferimenti al capolavoro montesquieuiano e alle principali teorie in esso contenute[1]. Punto culminante di tale serratissimo dialogo, durato oltre cinque lustri, è rappresentato dal Commentaire sur l’Esprit des lois (1777), breve trattato che il celebre philosophe stende negli ultimi mesi di vita e che contiene un’ordinata raccolta della maggior parte dei suoi giudizi sulle concezioni del celebre Bordolese.
Questo scritto polemico, non di rado ingiustamente sottovalutato dagli studiosi, è senza dubbio un’opera di notevole interesse nell’ambito della sterminata produzione voltairiana, in quanto vi si mettono in luce sia le divergenze teoriche sia i punti di contatto tra due dei principali protagonisti della scena culturale francese del XVIII secolo. Il Commentaire viene ora per la prima volta tradotto in italiano, con testo originale a fronte, da Domenico Felice e pubblicato dalla casa editrice Ets.
L’uscita dello Spirito delle leggi ebbe un grande impatto negli ambienti intellettuali europei, e le numerose critiche che Voltaire rivolse nel corso del tempo a tale opera[2] – critiche condensate magistralmente nel trattatello del quale stiamo parlando – esercitarono una non trascurabile influenza sul dibattito politico e filosofico dell’epoca. Sarebbe tuttavia errato ritenere che il Commentario si risolva in una serie di stroncature delle posizioni espresse dal Président, e infatti al suo interno si ritrovano anche innumerevoli giudizi favorevoli sul capolavoro montesquieuiano, che viene lì fra l’altro significativamente definito «il codice della ragione e della libertà»[3].
Prima di analizzare nello specifico i temi principali su cui Voltaire concentra la propria attenzione nel Commentario, è necessario sottolineare come le sue osservazioni risultino spesso influenzate dal particolare stile di lettura con cui egli si accosta alle pagine del barone di La Brède, consistente nell’isolare singoli brani dello Spirito delle leggi e muovere da essi per condurre le sue riflessioni. Avvalendosi di un simile metodo di lavoro, l’interprete riesce a fare sfoggio della sua pungente ironia; al tempo stesso, però, gli capita sovente di prospettare interpretazioni inesatte o riduttive dei punti di vista del filosofo bordolese, proprio perché non tiene conto della peculiare struttura argomentativa del capolavoro montesquieuiano, nel quale l’illustrazione di ogni singola teoria e dei concetti basilari procede per aggiunte successive, di modo che solo considerando il trattato nella sua globalità è effettivamente possibile comprenderne appieno i princìpi e le dottrine[4]. Nonostante talune critiche del patriarca di Ferney siano senza dubbio superficiali, non originali[5] o frutto del suo spregiudicato approccio all’opera, tuttavia la maggior parte di esse nasce da insanabili dissensi tra le posizioni politiche e ideologiche avanzate dai due autori.
Voltaire, infatti, oltre ad accusare il Bordolese di commettere parecchie inesattezze, di riportare citazioni sbagliate o erroneamente interpretate[6], di ricorrere troppo spesso a fonti non attendibili[7], attacca senza mezzi termini gli intenti dello Spirito delle leggi, un trattato, a suo dire, inutile sul piano pratico: «Era a correggere le nostre leggi che Montesquieu doveva consacrare la sua opera, e non a sbeffeggiare l’imperatore d’Oriente, il gran visir e il diwàn»[8]. Di fronte al grandioso progetto teorico che sta alla base del capolavoro del Président e che consiste nel tentativo di costruire una scienza universale dei sistemi politico-sociali[9], il pugnace philosophe, da sempre impegnato nel cambiamento della realtà storica, non cela il suo primario interesse per la concretezza e per un sapere che possa risolversi in azione, e conseguentemente ribadisce la sua acuta insofferenza nei confronti delle costruzioni sistematiche ed astratte: «Io non consiglierei a un uomo, che pretende di istruire, di fissare in questo modo delle regole generali. Appena stabilisce un principio, la storia si spalanca davanti a lui, e gli mostra cento esempi contrari»[10].
Alle critiche di carattere metodologico si accompagna il tentativo di smontare alcune delle principali idee-cardine sviluppate nello Spirito delle leggi. Nell’ambito della discussione della teoria montesquieuiana delle forme di governo compiuta all’interno del Commentario, per esempio, non solo viene rigettata la classificazione dei regimi politici in monarchia, dispotismo e repubblica[11] – Voltaire ritiene, infatti, che il dispotismo non possa essere considerato altro che la corruzione della monarchia –, ma si contesta anche la validità della nota dottrina del «principio» avanzata dal Bordolese[12]. Se per quest’ultimo il principe della monarchia è l’onore e quello della repubblica la virtù[13], il patriarca di Ferney considera tale tesi astratta e priva di ogni fondamento: «Mi parlate senza posa di monarchia fondata sull’onore, e di repubblica fondata sulla virtù. Vi dico francamente che virtù e onore esistono in tutti i governi»[14]. La posizione critica assunta da Voltaire risente senza dubbio del fatto che egli interpreta i concetti di vertu e honneur in senso morale, ignorando la particolare connotazione politica attribuita loro dal filosofo di La Brède[15]. Peraltro, il tentativo voltairiano di ribaltare questa tesi – dimostrando, cioè, che nella realtà si trova più onore in una repubblica che in una monarchia, e più virtù in una monarchia che in una repubblica –, è in parte strumentale: il pugnace philosophe, infatti, si propone anche di difendere il sistema di governo accentrato che era venuto formandosi in Francia almeno a partire dal regno di Luigi XIV[16].
L’elogio dell’absolutisme éclairé incarnato dal Re Sole porta Voltaire a criticare aspramente un’altra delle concezioni basilari contenute nello Spirito delle leggi: la teoria dei poteri intermedi. Com’è risaputo, Montesquieu individua nelle puissances intermediaires, subordonnés et dépendants dell’aristocrazia, del clero e della nobiltà di toga la spina dorsale della moderna monarchia moderata di tipo francese[17], poiché la presenza di tali ordini costituisce, a suo avviso, l’unico argine contro il pericolo di una degenerazione di quella plurisecolare forma di governo in dispotismo[18]. L’interprete attacca con veemenza questa posizione, ergendosi a paladino di una monarchia assoluta in cui il potere centrale, concentrato nelle mani del sovrano e non limitato da corpi intermedi, sia in grado di neutralizzare gli interessi di parte e di garantire in tal modo una maggiore stabilità dello Stato. Quest’avversione di Voltaire nei confronti delle puissances intermediaires nasce in certa misura dalle particolari contingenze storiche in cui egli si trova a vivere. Nel Settecento si consuma, infatti, un duro scontro tra il re e i parlamenti, organi giudiziari con funzioni di controllo legislativo[19] che nel tempo hanno aumentato la propria influenza sulla politica francese, giungendo a proporsi come i veri rappresentanti della nazione in contrasto col potere centrale. Il patriarca di Ferney è schierato contro le istanze e le rivendicazioni dei parlamenti, i quali, a suo giudizio, da un lato sono depositari di quel fanatismo e di quella intolleranza contro cui egli combatte strenuamente per tutta la vita, e dall’altro si dimostrano colpevoli di assecondare i privilegi del clero e della nobiltà di toga, minando in tal modo l’unità dello Stato e causandone la conflittualità interna[20]. Immerso nel dibattito politico contemporaneo, Voltaire non riesce pertanto a condividere l’ideale costituzionale che anima l’opus maius di Montesquieu, il quale, consapevole dei rischi insiti in una possibile svolta in senso assolutistico del regime monarchico, individua nei poteri intermedi dei concreti meccanismi istituzionali in assenza dei quali il potere del sovrano perderebbe ogni moderazione.
Altro significativo punto di divergenza tra i due autori si rileva nella raffigurazione del mondo orientale. Di fronte alla visione essenzialmente eurocentrica di Montesquieu, interessato ad evidenziare i terribili caratteri del dispotismo asiatico cui viene contrapposta la libertà propria dell’Europa[21], Voltaire si mostra invece certo dell’omogeneità dei due continenti, nella ferma convinzione che in entrambi il potere risulti limitato dalle leggi e che, dunque, il dispotismo orientale non sia null’altro che un’invenzione del Président, fondata su relazioni di viaggio ingannevoli e tendenziose, su racconti di «cose incerte lontane seimila leghe»[22]. Secondo il patriarca di Ferney, insomma, nessun sovrano, in Asia come altrove, esercita il proprio potere in maniera dispotica; inoltre, a suo modo di vedere, lo stesso uso montesquieuiano del termine despotisme è frutto di un’interpretazione errata e fuorviante[23]. Contemporaneamente, egli attacca la teoria cui fa ricorso il barone di La Brède per giustificare la schiavitù dell’Asia e la libertà dell’Europa: l’influenza del clima sui costumi, le leggi, la forma di governo e la religione di un popolo[24]. Anche se «in ogni tempo si è saputo quanto il sole, le acque, l’atmosfera, i venti, influiscano sulla vegetazione, gli animali e gli uomini»[25], tuttavia «non è credibile che esista un solo paese al mondo dove il patrimonio e i diritti dei cittadini dipendono dal calore e dal freddo»[26]. Di conseguenza, nell’ottica dell’interprete, la tesi montesquieuiana secondo cui il clima condiziona pesantemente i caratteri e le forme di governo degli uomini viene smentita dalla storia. Allo stesso modo, egli sostiene, non è verosimile che possa sussistere un effettivo legame tra religione e fattori ambientali: sono determinati dal clima i riti, ma non la credenza, ossia ciò che costituisce propriamente la religione[27]. Non è quindi il clima, secondo Voltaire, a influenzare le vicende umane: sono, piuttosto, «il governo, la religione, l’educazione»[28].
Dal Commentario affiorano tuttavia non solo elementi di contrasto, ma – come abbiamo accennato all’inizio – anche significativi punti di contatto tra i due autori. Il principe dei philosophes condivide alcune importanti posizioni montesquieuiane, in particolar modo l’umanitarismo e la condanna della schiavitù: «Se qualcuno – egli scrive, ad esempio – ha mai combattuto per restituire agli schiavi di ogni genere il diritto naturale, la libertà, questi è sicuramente Montesquieu. Ha opposto la ragione e l’umanità a ogni sorta di schiavitù»[29], da quella dei negri a quella degli eunuchi, da quella dei servi della gleba alla «specie di schiavitù che fa di un cittadino un diacono o un suddiacono, e che vi priva del diritto di perpetuare la vostra famiglia»[30]. Ciò contribuisce a spiegare perché il patriarca di Ferney spenda parole di sincera ammirazione per il Président, questo «difensore della natura umana»[31] che quando cade «si rialza per salire al cielo»[32], un pensatore al quale l’Europa intera «deve eterna gratitudine»[33]. A dispetto delle rilevanti divergenze teoriche che abbiamo cercato di illustrare sopra, non stupisce pertanto che Voltaire consideri Montesquieu non già come proprio «avversario», bensì come propria «guida»[34], un prezioso alleato nella sua personale “campagna” contro la superstizione, il fanatismo e i pregiudizi.
Ed è proprio il serrato dialogo col filosofo bordolese, come ben dimostra il densissimo testo del Commentaire, a far emergere i punti di vista e le idee principali che orientano alcune delle più impegnative “battaglie” voltairiane, spaziando dalla difesa del modello politico della monarchia assoluta alla lotta contro la superstizione e il fanatismo, dalla rivendicazione della necessità della tolleranza all’avversione nei confronti della nobiltà di toga, dalla visione dell’Oriente alle tesi a sostegno dell’antischiavismo.
[1] Affermazioni e teorie presenti nello Spirito delle leggi sono discusse da Voltaire in special modo nel primo dialogo di A.B.C. (1768-1769), nel Commentario sullo «Spirito delle leggi» (1777) e nelle seguenti “voci” (che risalgono al settimo e all’inizio dell’ottavo decennio del XVIII secolo): Amore cosiddetto socratico (contenuta nel Dizionario filosofico), Clima (inclusa nelle Questioni sull’«Enciclopedia»), Denaro (Questioni sull’«Enciclopedia»), Donna (Questioni sull’«Enciclopedia»), Esseni (Questioni sull’«Enciclopedia»), Governo (Questioni sull’«Enciclopedia»), Guerra (Dizionario filosofico), Incesto (Questioni sull’«Enciclopedia»), Interesse (Questioni sull’«Enciclopedia»), Leggi (Spirito delle) (Questioni sull’«Enciclopedia»), Leggi (Sulle) (Dizionario filosofico), Onore (Questioni sull’«Enciclopedia»), Schiavi (Questioni sull’«Enciclopedia») e Stati, governi. Qual è il migliore? (Dizionario filosofico).
[2] «È con dolore, e andando contro i miei gusti, che combatto così alcune idee di un filosofo cittadino, e che evidenzio taluni suoi errori. Non mi sarei mai abbandonato, in questo piccolo commentario, a un lavoro così ripugnante se non fossi stato infiammato dall’amore della verità» (Voltaire, Commentario sullo «Spirito delle leggi», a cura di D. Felice, Pisa, Ets, 2011, p. 147 [d’ora innanzi: Commentario. Con tale abbreviazione si farà riferimento al testo della traduzione italiana presente all’interno di questa edizione]).
[3] Commentario, p. 55.
[4] A tal proposito, Montesquieu avverte nella Prefazione all’opus maius: «Chiedo una grazia che temo non mi si accorderà: cioè di non giudicare con una lettura di un momento vent’anni di lavoro; di approvare o condannare il libro intero, non qualche sua frase» (Montesquieu, Lo spirito delle leggi, intr. e note di R. Derathé, tr. it. di B. Boffito Serra, 2 tt., Milano, Rizzoli-BUR, 20117, t. I, p. 141 [d’ora innanzi, si rimanderà a tale edizione con la sigla EL, subito seguìta dall’indicazione del libro in numero romano e del capitolo in numero arabo]). Nella Difesa dello «Spirito delle leggi» (1750), egli ribadisce: «Nei libri di svago tre o quattro pagine sono sufficienti a dar l’idea dello stile o delle attrattive dell’opera: nei libri teorici non si afferra niente se non si arriva alla fine della concatenazione» (EL, t. II, p. 1102). Fin da giovane, d’altronde, il Bordolese rivela una certa tendenza a legare fra di essi tutti gli aspetti da lui presi in considerazione mediante una «catena celata e, in qualche modo, sconosciuta», come egli stesso ammette in Alcune riflessioni sulle «Lettere persiane», testo aggiunto all’edizione del 1754 del suo celebre romanzo epistolare (cfr. Montesquieu, Lettere persiane, tr. it. e note di A. Ruata, intr. di C. Agostini, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 26; la prima versione a stampa dell’opera risale al 1721).
[5] Come riconosce lo stesso Voltaire nella Premessa al Commentario (p. 59), molte delle critiche che egli muove a Montesquieu sono riprese da altri scritti polemici settecenteschi, in particolare dalle Observations sur un livre intitulé: L’Esprit des Loix, composte nel 1749 dal fermier général Claude Dupin.
[6] «Tutti questi sbagli dell’autore dello Spirito delle leggi fanno rimpiangere che un libro che poteva essere così utile non sia stato composto con sufficiente accuratezza, e che la verità vi sia troppo spesso sacrificata a ciò che è chiamato bellospirito» (Commentario, p. 127).
[7] «È mai possibile che un uomo serio si degni di parlarci così spesso delle leggi di Bantam, di Macassar, di Borneo, di Achem; che ripeta tanti racconti di viaggiatori, o piuttosto di uomini erranti, che hanno sciorinato tante favole, scambiato tanti abusi per leggi, che, senza allontanarsi dal bancone di un mercante olandese, sono penetrati nei palazzi di tanti prìncipi dell’Asia?» (Commentario, p. 107).
[8] Commentario, p. 117.
[9] Su questo cruciale aspetto, cfr. R. Aron, Charles-Louis de Secondat baron de Montesquieu, in Id., Les étapes de la pensée sociologique:
Montesquieu, Comte, Marx, Tocqueville, Durkheim, Pareto, Weber, Paris,
Gallimard, 1967, pp. 27-76 (tr. it. di A. Devizzi: R. Aron, Charles-Louis de Secondat barone di
Montesquieu, in Id., Le tappe del
pensiero sociologico. Montesquieu Comte Marx Tocqueville Durkheim Pareto Weber,
Milano, Mondadori, 1972 [con numerose ristampe fino ad anni recenti], pp.
33-76; tale traduzione è appena stata inserita, col titolo Per una scienza
universale dei sistemi politico-sociali, in Aa.Vv., Lo spirito della politica. Letture di Montesquieu,
a cura di D. Felice, Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 43-92); S. Cotta, Montesquieu e la scienza della
società, Torino, Ramella, 1953 (il libro è fruibile anche on line all’indirizzo
<https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Scienza_soc.pdf>); D.
Felice, Per una scienza universale dei sistemi politico-sociali. Dispotismo,
autonomia della giustizia e carattere delle nazioni nell’«Esprit des lois» di
Montesquieu, Firenze, Olschki, 2005.
[10] Commentario, p. 69.
[11] EL, II, 1, t. I, p. 155.
[12] Nella sua trattazione, com’è noto, Montesquieu parla di «natura» e di «principio» di un governo: «Fra la natura del governo e il suo principio, vi è questa differenza, che la sua natura è ciò che lo fa essere quello che è, e il suo principio è ciò che lo fa agire. L’una è la sua struttura particolare, e l’altro le passioni umane che lo fanno muovere» (EL, III, 1-2, t. I, p. 167).
[13] EL, III, 1-3 e 5-7, t. I, pp. 167-173.
[14] Commentario, p. 111.
[15] Montesquieu, proprio nel tentativo di scongiurare tali erronee interpretazioni, si sofferma su questi punti essenziali anche nella Difesa dello «Spirito delle leggi», dove scrive: «La parola virtù, come la maggior parte delle parole, in tutte le lingue, è usata in diverse accezioni […]. Il senso del termine è dato da quanto segue o precede. Nella sua opera l’autore ha fatto di più: ha indicato più volte il significato che la parola aveva per lui. L’obiezione deriva quindi dal fatto che l’opera è stata letta troppo in fretta» (EL, t. II, pp. 1107-1108; il Bordolese parla qui in terza persona di se stesso, dal momento che la Défense esce anonima). Un’ulteriore precisazione su tali aspetti è contenuta nell’Avvertimento dell’autore, pubblicato in testa all’edizione postuma del 1757 dello Spirito delle leggi: in quella sede, oltre a mettere in rilievo la connotazione essenzialmente politica dei due concetti, Montesquieu precisa che «fra il dire che una certa qualità, modificazione dell’anima o virtù non è la molla che fa agire un governo, e dire che essa non si trova in quel governo, c’è una grandissima differenza»: infatti, «l’onore si trova nella repubblica, quantunque la virtù politica ne sia la molla; la virtù politica si trova nella monarchia, quantunque l’onore ne sia la molla» (EL, t. I, p. 139).
[16] «[P]er quanto male si sia detto della corte di Luigi XIV, queste invettive non hanno impedito che, nei momenti dei suoi più grandi rovesci, quelli che godevano della sua fiducia, i Beauvilliers, i Torcy, i Villars, i Villeroi, i Portchartrain, i Chamillart, non fossero gli uomini più virtuosi d’Europa» (Commentario, p. 79).
[17] EL, II, 4, t. I, pp. 162-164. Sulla vasta e complessa tematica
delle puissances intermediaires, subordonnés
et dépendants, nonché sul modello monarchico “feudale” francese, cfr. M.
Goldoni, L’onore del potere giudiziario:
Montesquieu e la monarchia dei poteri intermedi, in D. Felice (a cura di), Politica, economia e diritto nell’«Esprit
des lois» di Montesquieu, Bologna, Clueb, 2009, pp. 1-66 (l’opera è
integralmente consultabile anche sul web all’indirizzo
<https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Pol_eco_dir.pdf>); una seconda
versione di questo saggio di Marco Goldoni è stata inserita, col titolo La monarchia, in D. Felice (a cura di), Leggere Lo spirito delle leggi di
Montesquieu, 2 tt., Milano-Udine, Mimesis, 2010, t. I, pp. 67-123.
[18] «Abolite in una
monarchia le prerogative dei signori, del clero, delle nobiltà e delle città:
avrete in breve uno Stato popolare, o meglio uno Stato dispotico» (EL, II, 4, t. I, p. 163). Per una
panoramica delle riflessioni montesquieuiane sull’assolutismo moderno e sul
legame tra monarchia e dispotismo, si veda D. Felice, Le forme dell’assolutismo europeo, in Id., Oppressione e libertà. Filosofia e anatomia del dispotismo nel pensiero
di Montesquieu, Pisa, Ets, 2000, pp. 119-147 (il libro è disponibile anche
on line all’indirizzo
<
https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Oppressione.pdf>); una versione
più breve – ma aggiornata bibliograficamente – di questo saggio di
Domenico Felice è stata tradotta in castigliano da Antonio Hermosa Andújar: D.
Felice, Las formas del absolutismo europeo, in Id., Los orígenes de la ciencia
política contemporánea. Despotismo y libertad en el Esprit des lois de Montesquieu, a cura di P. Venturelli, Madrid, Biblioteca Nueva, 2012 (d’imminente
pubblicazione), pp. 93-113.
[19] «[I] parlamenti francesi […] erano fondamentalmente organismi giudiziari, cioè tribunali, sia pure di alta istanza, e sia pure chiamati a svolgere, accanto alla loro funzione primaria […], anche compiti amministrativi, e detenevano l’importante incarico di registrare gli editti regi, con il diritto di presentare remontrances, cioè osservazioni critiche, le quali, finché non avessero trovato soddisfazione da parte del Consiglio del re, bloccavano l’iter delle leggi. Il diritto di remontrance […] costituiva quindi una potente arma politica per esercitare pressioni sul governo» (P. Alatri, Parlamenti e parlamentari in Francia, in V.I. Comparato [a cura di], Modelli nella storia del pensiero politico, 3 voll., Firenze, Olschki, 1987-1993, vol. II [La rivoluzione francese e i modelli politici, 1989], pp. 17-24 [il passo cui si fa riferimento è a p. 17]). Riguardo alla storia e alle funzioni dei parlamenti francesi nel secolo dei lumi, il rimando imprescindibile è ovviamente il classico volume, scritto da Paolo Alatri, Parlamenti e lotta politica nella Francia del Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1977.
[20] Unico tra i philosophes, Voltaire appoggia la riforma giudiziaria promossa tra
il 28 novembre 1770 e il 13 aprile 1771 dal cancelliere
René-Nicolas-Charles-Augustin de Maupeou (1714-1792), riforma volta a limitare
drasticamente l’autonomia dei parlamenti e la loro possibilità di opposizione
alle decisioni regie. Le disposizioni più radicali previste dal cosiddetto
“colpo di stato” di Maupeou consistono: nell’abolizione della venalità delle
cariche (editto del 23 febbraio 1771); nello smembramento del parlamento di
Parigi, i cui membri sono mandati in esilio in varie città della provincia e al
posto del quale vengono istituiti sei consigli superiori, cioè organismi
giudiziari composti di magistrati nominati e stipendiati (provvedimento
contenuto, insieme col precedente, nell’editto datato 23 febbraio 1771); nella
nascita di un nuovo parlamento di Parigi, dotato di compiti istituzionali per
la verifica e la registrazione degli editti, le dichiarazioni e le lettere
patenti del re (editto del 13 aprile 1771). In séguito all’ascesa al trono di
Luigi XVI nel 1774, si ha la destituzione di Maupeou, i vecchi parlamenti sono
restaurati nelle loro antiche funzioni e tutto il sistema giudiziario-politico
antecedente alla riforma del 1770-1771 viene ripristinato tale e quale. Contro le prerogative dei
parlamenti, Voltaire compone l’Histoire
du parlament de Paris (1769), oltre a diversi pamphlets in difesa di Maupeou (L’Équivoque, Les peuples aux
parlements, Réponse aux remontrances
de la cour des aides, Fragment d’une
lettre écrite de Genève, Sentiment
des six conseils établis par le roi et tous les bon citoyens, Lettre d’une jeune abbé sur la vénalité des
charges, Avis important d’un
gentilhomme à toute le noblesse du royaume; di tali testi, i primi sei sono raccolti in traduzione italiana,
col titolo Il cancelliere Maupeou e i
parlamenti, all’interno di Voltaire, Scritti
politici, a cura di R. Fubini, Torino, Utet, 1964, pp. 925-957 [il volume è
fruibile anche on-line all’indirizzo
<https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Scritti_politici_1964.pdf>]). Sulla riforma di Maupeou e sulle
posizioni di Voltaire, cfr. P. Alatri, Parlamenti
e lotta politica nella Francia del Settecento, cit. (si vedano, in
particolar modo, i capitoli L’atteggiamento
dei philosophes, pp. 34-67; La
soppressione dei gesuiti, l’«affare di Bretagna» e la rivolta dei parlamenti,
pp. 357-399; Il «colpo di stato» di
Maupeou, pp. 400-419); F. Diaz, La
prova di forza fra corona e parlamenti, in Id., Filosofia e politica nel Settecento francese, Torino, Einaudi,
1962, pp. 428-470; Id., Dal movimento dei
lumi al movimento dei popoli. L’Europa tra illuminismo e rivoluzione,
Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 374-381; P. Alatri, Introduzione a Voltaire, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 23-26 e 103-106;
M.L. Lanzillo, Voltaire. La politica
della tolleranza, Roma-Bari, Laterza, 2000, pp. 33-41. Riguardo alle
funzioni dei parlamenti e al nesso fra il milieu
parlamentare e la riflessione di Montesquieu, si rimanda a M. Goldoni, L’onore del potere giudiziario: Montesquieu
e la monarchia dei poteri intermedi, cit., pp. 33-61 (corrispondente a Id.,
La monarchia, cit., pp. 96-120).
[21] Come osserva Federico Chabod, «gli scrittori e pensatori del Settecento […] hanno fortemente accentuato, fra gli altri, anche i caratteri “politici” dell’Europa, cioè degli Stati europei, come profondamente diversi da quelli di tutto il resto del mondo […]. Il corps politique de l’Europe è caratterizzato, infatti, dal fatto fondamentale di non conoscere il despotisme asiatique all’interno, e di poter esser ripartito in molti Stati, senza grandi imperi come quelli asiatici» (F. Chabod, I caratteri politici dell’Europa nel pensiero del Machiavelli, in M. Göhring [a cura di], Europa. Erbe und Aufgabe, Atti del Convegno [Magonza, 16-20 marzo 1955], Wiesbaden, Steiner, 1956, pp. 29-32 [il passo cui si rimanda è a p. 29]; il saggio è stato inserito, postumo, sia – con la stessa intitolazione – in F. Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, 1964, pp. 403-406 [il luogo citato sta a p. 403], sia – col titolo La nascita dell’idea di Europa – all’interno di Aa.Vv., Lo spirito della politica, cit., pp. 93-97 [il riferimento che interessa è a p. 93]). Intorno alla dicotomia libertà europea / dispotismo asiatico, si veda anche N. Bobbio, Grandezza e decadenza dell’ideologia europea, «Lettera internazionale», III (1986), 9-10, pp. 1-5 (l’articolo è stato riproposto, sempre col medesimo titolo, sia in Id., Il dubbio e la scelta, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993, pp. 179-191, sia in Id., Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino, Einaudi, 1999, pp. 604-618, sia – postumo e con qualche piccola omissione testuale – in Aa.Vv., Lo spirito della politica, cit., pp. 119-129).
[22] Commentario, p. 123.
[23] Cfr. Commentario,
pp. 63-67. Anche in questo caso, influisce sull’opinione voltairiana il
tentativo di prendere le difese dell’assolutismo di Luigi XIV. Il patriarca di
Ferney è infatti convinto che l’immagine del dispotismo orientale modellata
nello Spirito delle leggi funga più
che altro da pretesto a Montesquieu per rendere ridicola e, al contempo, odiosa
la forma di governo monarchica plasmatasi in Francia nei decenni precedenti;
tale genere d’interpretazione ha goduto, fino al secolo scorso, di una notevole
fortuna nella letteratura critica. Riguardo a questi aspetti, e più in generale
circa le differenti visioni dell’Asia avanzate dai due autori, si possono
vedere G. Zamagni, Oriente ideologico,
Asia reale. Apologie e critiche del dispotismo nel secondo Settecento francese,
in D. Felice
(a cura di), Dispotismo. Genesi e
sviluppo di un concetto filosofico-politico, 2 tt., Napoli, Liguori,
2001-2002, t. II, pp. 357-390; S. Gallegos Gabilondo, Anquetil-Duperron critico di Montesquieu,
in D. Felice (a cura di), Studi di Storia
della Filosofia. Ricordando Anselmo Cassani (1946-2001), Bologna, Clueb,
2009, pp. 197-210; Id., Philosophie
et colonialisme chez Anquetil-Duperron, «Montesquieu.it», 2 (2010), pp.
128-141 (anche in versione elettronica sia all’indirizzo della rivista,
<
https://www.montesquieu.it/files/Riviste/numero2.pdf>, sia all’indirizzo del
contributo singolo, <
https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Philosophie_col.pdf> [pp.
1-15]).
[24] Va segnalato come siffatta
critica di Voltaire risulti in realtà parziale, in quanto egli evita di
inscrivere questa concezione all’interno della più ampia categoria
montesquieuiana dell’esprit général des
nations. In merito a tale importante categoria, cfr. C. Borghero, Libertà e necessità: clima ed ‘esprit
général’ nell’Esprit des lois, in D. Felice (a cura di), Libertà, necessità e storia. Percorsi dell’Esprit
des lois di Montesquieu, Napoli,
Bibliopolis, 2003, pp. 137-201 (il libro è disponibile anche on line
all’indirizzo
< https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Libertà.pdf>;
questo saggio di Carlo Borghero è stato ripubblicato, in versione riveduta e
aggiornata, all’interno di D. Felice [a cura di], Leggere Lo spirito delle
leggi di Montesquieu, cit., t. I, pp.
353-404, col titolo Lo spirito generale
delle nazioni); D. Felice, Introduzione
a Montesquieu, Saggio sulle cause che
possono agire sugli spiriti e sui caratteri, a cura di D. Felice, Pisa,
Ets, 2004, pp. 9-33 (volume integralmente consultabile anche sul web
all’indirizzo
<https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Saggio_cause.pdf
>; lo scritto di Domenico Felice è stato successivamente riproposto, con
qualche modifica testuale e il titolo Carattere
delle nazioni: ‘fisico’ e ‘morale’ nell’Essai sur les causes qui peuvent affecter les esprits et les caractères e nell’Esprit des lois, in D. Felice, Per una scienza universale dei sistemi
politico-sociali, cit., pp. 119-144 [questa seconda versione è fruibile
anche on line all’indirizzo < https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Scienza_universale_cap_III.pdf
>]; di un’ulteriore stesura del contributo – più breve, ma aggiornata
bibliograficamente – esiste una recentissima traduzione in castigliano,
compiuta da A. Hermosa Andújar e inserita in D. Felice, Los orígenes de la ciencia
política contemporánea,
cit., pp. 159-185, col titolo Carácter de
las naciones: ‘físico’ y ‘moral’ en el Essai sur les causes qui peuvent
affecter les esprits et les caractères y
en el Esprit des lois).
[25] Commentario, p. 155.
[26] Commentario, p. 161. Più oltre ribadirà: «se il clima rende gli uomini biondi o bruni, è però il governo che produce le loro virtù e i loro vizi» (Commentario, p. 193).
[27] Voltaire, infatti, reputa che la credenza dipenda dall’educazione: cfr. Commentario, p. 163.
[28] Commentario, p. 197.
[29] Commentario, p. 165.
[30] Commentario, p. 165. Voltaire allude qui alla critica rivolta da Montesquieu all’eccessiva estensione del celibato ecclesiastico. Il Président si riferisce soprattutto agli Stati dove prevale la religione cattolica: cfr. EL, XXIII, 21, t. II, p. 768, e XXV, 4, t. II, pp. 803-804 (egli ha già fatto riferimento alla questione nelle Lettres persanes [lettera 117, in Montesquieu, Lettere persiane, cit., pp. 196-198] e vi ritornerà sopra nella Difesa dello «Spirito delle leggi» [EL, t. II, pp. 1086-1088]).
[31] Commentario, p. 165.
[32] Commentario, p. 155.
[33] Voltaire, Lois (Esprit des) (1771), in Œuvres complètes de Voltaire, a cura di L. Moland, 52 voll., Paris, Garnier, 1877-1885, vol. XX (1879), pp. 1-15 (il passo citato, da noi tradotto, si trova a p. 14). Di tale “voce” esiste una recente traduzione italiana annotata, a cura di D. Felice: Id., Spirito delle leggi, «Montesquieu.it», 3 (2011), pp. 103-116 (il luogo a cui si rimanda è a p. 116); tale traduzione risulta fruibile anche on line in formato pdf sia all’indirizzo della rivista, < https://www.montesquieu.it/files/Riviste/numero3.pdf >, sia all’indirizzo del contributo singolo, < https://www.montesquieu.it/biblioteca/Testi/Voltaire_2011.pdf > (questa seconda versione in pdf è priva della numerazione delle pagine; le parole cui intendiamo rimandare sono collocate nella decima ed ultima pagina).
[34] Cfr. Commentario, p. 155.