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Apollineo e dionisiaco, de Giorgio Colli

a cura di Enrico Colli, Adelphi, Milano, 2010

Gianmaria Merenda

Apollineo e dionisiaco raccoglie alcuni scritti che negli anni tra il 1938 e il 1940 hanno visto Giorgio Colli confrontarsi con la filosofia greca, scritti che avrebbero dovuto confluire in un’opera che non è mai venuta alla luce: Ellenismo e oltre. Come già qualche tempo accade (con Platone politico, 2007, e Filosofi sovraumani, 2009), la casa editrice Adelphi sta proponendo gli scritti giovanili di Colli per restituire ai lettori una sempre più profonda immagine del filologo e filosofo italiano. Questo testo, a cura di Enrico Colli, propone al lettore l’officina filosofica di Giorgio Colli. Nella nota introduttiva sono illustrate le scelte e le motivazioni che hanno spinto il curatore a dare un certo ordine agli scritti e a scegliere il titolo per la pubblicazione. A corredo degli scritti di Colli stanno gli appunti preparatori in cui si possono leggere i ‘motivi’, a volte passi lunghi, a volte solo poche righe o addirittura una singola parola, che hanno contribuito a formare lo scritto che poi appare nella raccolta. Ancor più interessanti sono i ‘Piani’ che, nell’Appendice, rendono in maniera estremamente schematica e immediata l’idea di una elaborazione densa e continua del materiale con cui Colli si confrontava in vista del testo definitivo.

Nel primo capitolo del testo Colli centra il suo interesse attorno alla figura del filologo. Un testo e un autore sono utilizzati, per contrasto, per sviluppare i concetti di apollineo e dionisiaco: la Nascita della tragedia e Nietzsche. Nell’eccezione di Colli, la filologia ha un’ampiezza teoretica ben più ampia di quella che solitamente ha quando viene associata alla ricostruzione logica di un testo. Come ricorda lo stesso Colli, “sinora la filologia è stata ristretta allo studio della parola scritta del remoto passato, studio di un’espressione come tale, non di un’espressione per ritrovare l’intimità che le sta dietro” (p. 39). Per Colli la filologia è una attività di più ampio respiro, una attività “che vede il mondo e la vita come una grande espressione e la studia soltanto per scoprire ciò che sta dietro ad essa” (p. 31). La filologia non è più limitata allo studio delle motivazioni che hanno prodotto una determinata opera intellettuale, ma diventa lo strumento che permette di accedere a ciò che si cela dietro la vita stessa nella sua interezza: il suo compito è ben più ampio e più impegnativo perché si capisce immediatamente che i suoi confini sono, necessariamente, imponderabili. Di conseguenza, anche la figura del filologo subisce una mutazione nella sua essenza. Egli non è più relegato al solo studio delle ‘lettere’ antiche. Il filologo è quell’uomo che si interroga su cosa è la vita, su cosa è il vivere. Per questo il suo compito diventa quello di indagare le essenze che muovono il vivere umano e i suoi strumenti diventeranno sempre più la filosofia, l’estetica, la morale e la politica (Colli, volgendo il suo sguardo alla Grecia antica, afferma che “arte, filosofia e politica non sono altro che érgon, e come tali studiabili sotto un unico punto di vista: tra di loro esiste agonismo, non separazione”, p. 49).

Da queste prime indicazioni, che hanno messo in evidenza la particolare idea di filologia che sarà sviluppata nel testo, e la sua conseguente applicazione pratica, non poteva mancare l’introduzione a quel filologo che molto ha in comune con l’approccio colliano alla materia: Nietzsche. Del filologo-filosofo tedesco è, come accennato poco sopra, utilizzato un testo, la Nascita della tragedia. Questa scelta è necessaria perché permette un dialogo diretto tra moderno e antico, tra filosofia contemporanea e filosofia antica. L’approccio di Colli è molto critico. Non vengono messe in evidenza solo le convergenze tra il suo pensiero e quello di Nietzsche, ma anche i punti di divergenza, che sono quelli che rendono il testo originale nella sua proposta ‘filologica’. Come indica il titolo scelto da Enrico Colli per questo testo, sono due i concetti che Colli intende sviluppare perché immediatamente connettono Nietzsche e la filosofia greca: l’apollineo e il dionisiaco. Colli spiega e fa interagire i due termini, greci e nicciani ad un tempo, per tentare di arrivare all’essenza della vita stessa, come vuole l’impegno del filologo da lui descritto.

Dopo una interessante, per piglio e intensità, introduzione alla figura di Nietzsche e alla Geburt (pp. 52-57), Colli mette in luce i punti che lo distanziano dal filologo tedesco: sono quei concetti di apollineo e dionisiaco che spesso in una generale incomprensione, è qui la tesi principale di questo testo testo, vengono associati alla figura di Nietzsche. Colli fa si notare i punti che fanno di Nietzsche un ottimo filologo (“Egli scopre la grecità come il campo vero della grandezza ed il suo problema è anzitutto estetico, […] e stabilisce quindi la possibilità di un’arte fondata sulla conoscenza, un’arte filosofica insomma”, p. 57), ma indica anche quello che, secondo lui, è il ‘torto più grande’ della Geburt: il carattere collettivo e anti-individualistico che assume il dionisiaco (cfr. pp. 63-64). Questa mancanza sarebbe dovuta al fatto che Nietzsche si soffermò più “sull’aspetto etico che su quello estetico della contrapposizione” (p. 77) tra i due termini, i due concetti. Per Colli Nietzsche sbaglia perché considera l’apollineo nella sua maturità artistica e il dionisiaco nella sua espressione primitiva e ‘crudele’, come ad esempio nella sua espressione ebbra.

In Colli l’apollineo è la rappresentazione, l’espressione che si manifesta in una rappresentazione. Colli non vuole certo dirci che nell’apollineo, e qui sono magistrali le pagine che accostano gli scultori greci e a Michelangelo (pp. 86-7), sia presente solo una esteriorità che si rappresenta, ma ci sta dicendo che l’apollineo indica una vita, anche ‘interiore e sentimentale’, che esaurisce le proprie passioni nel proprio modo di manifestarsi: “[gli apollinei] la sanno esprimere compiutamente senza che rimanga nel loro cuore alcun inappagamento” (p. 89). Inoltre, Colli non separa nettamente i due modi di intendere la vita, a suo parere apollineo e dionisiaco devono coesistere. Anzi: “una cultura superiore deve sempre basarsi su di una duplicità, per quanto non chiaramente cosciente dell’antitesi tra fenomeno e noumeno, su una diversità essenziale della realtà, che permetta un movimento ed un’aspirazione definita, anche se il risultato finale sarà un’unità superiore” (p. 95).

Nel dionisiaco di Colli ciò che si differenzia dall’apollineo non è un differente schema della rappresentazione, ma è un differente prevalere dei nessi interiori che spingono ad una diversa esteriorità (anche in altri frasi riscontrato: forse usare più sinonimi snellisce la frase e la comprensione). Nel dionisiaco la percezione interiore è potenziata, la catena di causalità è ben più vasta: il dionisiaco può concepire una trama che va ben oltre le proprie singolari possibilità, ma è proprio perché può comprendersi in una causalità più vasta che si può mantenere “ognora cosciente, sempre uguale a se stesso” (p. 101). Colli fa ben presente che nel momento ebbro, nel momento orgiastico, si può esprimere il dionisiaco, ma non perché quello sia il campo di espressione del dionisiaco. È solo nella collettività che può esprimersi la totale individualità del dionisiaco. Il passaggio dal dionisiaco collettivo a quello individuale è un passaggio graduale che implica conoscenza: “l’attimo puntuale della conoscenza mistica è ancora del tutto intimo, fuori dal mondo, anti-rappresentativo per eccellenza” (p. 111). In questo caso è in antitesi con l’apollineo maturo che Colli vedeva nell’errore di Nietzsche, un apollineo che si dà nella rappresentazione senza intimità. Ma ancora una volta è in questa antitesi che si può capire come apollineo e dionisiaco siano indissolubilmente uniti nell’uomo e di come essi agiscano nella sua capacità di comprendere che cosa è la vita.

Purtroppo il saggio Ellenismo e oltre non ha mai visto la luce, da questi scritti però, dalle domande irrisolte, dagli spunti che affiorano a volte repentinamente dal testo e dalle indicazioni a nuove aperture, lo si può immaginare come uno scritto filosofico importante. Non solo per comprendere l’origine e la grecità della filosofia, ma anche per comprenderne il suo continuo interrogare la filosofia di oggi. Anche passando dalla messa in discussione di due tra i più noti termini della storia della filosofia stessa.

 


 

Una prima versione di questa recensione è uscita per la rivista elettronica ‘Recensioni filosofiche’
(ReF - Recensioni Filosofiche / ISNN 1826-4654):
https://www.recensionifilosofiche.it/crono/2011-04/colli.htm

 

 

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