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Th. Casadei (a cura di), Diritti umani e soggetti vulnerabili. Violazioni, trasformazioni, aporie, Torino, Giappichelli, 2012, págs. 284
Lucia Dileo
La questione dei diritti umani è ormai divenuta centrale nel dibattito giusfilosofico e sociologico-giuridico. Negli ultimi anni è andato sviluppandosi, anche in Italia, un percorso di ricerche che punta sempre più al loro riconoscimento nonché alla domanda di una loro effettività, evidenziando, d’altro canto, nuovi profili di trasformazione [1].
In tale contesto sembrano sempre più intersecarsi due modalità di indagine: l’una, orientata allo studio e alla descrizione delle condizioni sociali di fatto, della normativa vigente e delle politiche in atto; l’altra, orientata all’analisi di concetti dai contenuti vecchi e nuovi e di problemi posti alla riflessione giusfilosofica dalle circostanze concrete. Generalmente indagini e riflessioni di questo tipo, proprio perché descrittive della realtà politica, giuridica e sociale dovrebbero poter guidare e influenzare, a loro volta, il dibattito e le azioni che si svolgono all’interno delle istituzioni.
La riflessione contenuta nel volume curato da Thomas Casadei Diritti umani e soggetti vulnerabili. Violazioni, trasformazioni, aporie (Torino, Giappichelli, 2012) va in questa direzione; essa consente uno sguardo ampio sulla più recente teorizzazione elaborata in materia e, al contempo, su pratiche che sono al centro dello spazio di decisione politica. Tale possibilità deriva certamente dal carattere “corale” del volume, che pone in dialogo gli apporti di diverse conoscenze in tema di diritti umani, nonché da approcci legati a diverse esperienze di studiose e studiosi in vario modo impegnati in questo vasto settore di ricerca.
Già dal titolo sembra discendere la doppia impalcatura dell’opera: a una prima parte che ha a che fare soprattutto con la riflessione teorico-normativa sui diritti umani («Quadri teorici: l’umanità tra universalismo e contesti culturali»), ne segue una seconda che si concentra, invece, su casi concreti di violazioni, partendo dai soggetti che ne sono vittime («Soggetti: vulnerabilità e violazioni»).
Molti sono i temi trattati nei diversi contributi: si va dalle questioni dell’universalismo, del pluralismo, del particolarismo e del relativismo – alle quali sempre più spesso si riserva attenzione nel dibattito[2] – ai classici temi che attengono alla fisionomia dei diritti umani, come quelli dell’uguaglianza e della dignità delle persone, fino ad argomenti su cui negli ultimi tempi la ricerca si è fatta più insistente, come i problemi inerenti alle discriminazioni[3] e quelli relativi alla povertà mondiale[4].
In generale l’idea di fondo che si intende suggerire, come ricorda Gianfrancesco Zanetti, autore della Prefazione al volume, è quella di un percorso che vada dalla prassi alla teoria. L’esperienza storica ha qualcosa di molto significativo da insegnare alla riflessione politica e giuridica intorno ai diritti: e cioè che i diritti esistono perché molte sono, da sempre, le violazioni. Sotto questo profilo l’uguaglianza non è data, ma viene rivendicata a fronte di reali disuguaglianze. Storicamente sono state le rivendicazioni a favore dei diritti e dell’uguaglianza a rendere possibile il loro riconoscimento sul piano giuridico. Contingenza e concretezza sono, dunque, caratteristiche essenziali che vanno attribuite ai diritti per comprenderne la reale natura (p. XIII).
Nel trattare dei diritti umani oggi non possiamo ignorare ciò che, di fatto, è negato di contro a quanto è sancito nei documenti ufficiali, sia al livello delle Costituzioni dei singoli Stati sia al livello dei Trattati internazionali. In questa prospettiva è soprattutto dalle «violazioni» che bisogna partire, tanto per individuare le «aporie» che scaturiscono dal discorso intorno ai diritti quanto per cogliere la portata delle «trasformazioni» sempre in atto, e dunque il quadro normativo che si viene delineando secondo un processo aperto e mai concluso.
In verità, alle trasformazioni possono fare seguito ulteriori, nuove, violazioni. I diritti umani non sono mai conquiste definitive: la lotta per la dignità è sempre una lotta che deve rinnovarsi, e la dignità è, pertanto, un bene perennemente minacciato. In questo senso tradizionali nozioni come quelle di «diritti naturali» o di «diritti innati» proprio perché “connaturati” all’“essere umani” e al valore che a ciò è attribuito, sono state ripensate affiancando all’approccio normativo e allo studio della natura umana un approccio teso alla descrizione di vite e di individui reali, ovvero alle effettive condizioni degli esseri umani.
Lo aveva capito, ad esempio, Jeanne Hersch (1910-2000), pensatrice originale che ha dedicato la sua vita e il suo impegno civile ai diritti umani, come illustra il saggio di Silvia Vida (pp. 3-22). Nella natura intesa come mero regno della forza non si può parlare di diritti innati. Anzi, la storia stessa ci trasmette un’immagine tutt’altro che “naturale” del benessere e della prosperità umani. D’altra parte, questa l’idea di Hersch, se intendiamo la natura anche come quella dimensione della vita umana che è essenzialmente e potenzialmente ricerca del bene della libertà (come condizione senza cui non vi può essere nessun altro bene), allora la domanda di diritti diventa costitutiva dell’umanità stessa.
Tuttavia a questa constatazione fatta sul piano teoretico (la quale può essere proprio per questo vista come ricerca di un fondamento “universale” per i diritti) deve far seguito, nella visione di Hersch, la ricerca fattuale della libertà e delle condizioni per essere liberi.
Al livello del comportamento pratico, cioè, la libertà non può soltanto essere vista come una caratteristica essenziale dell’essere umano, ma ha anche bisogno delle relazioni, e in particolare del riconoscimento, del rispetto che viene da terzi, laddove implicata è la diversità di ognuno, anche di interi gruppi o popoli. La libertà, dunque, lungi dal configurarsi esclusivamente come un bene personale dell’individuo, è anche qualcosa che “si deve” agli altri. Da ciò scaturisce il nesso imprescindibile tra morale e politica quando si parla di diritti umani, e da ciò origina pure la necessità della politica e della riflessione che non può spegnersi sulle condizioni sociali, economiche, culturali degli Stati, e sulle possibili ed effettive violazioni a cui sono soggette tante persone in carne ed ossa[5].
Se da un lato, dunque, è venuto sviluppandosi a partire dalla Dichiarazione Universale del 1948 il tentativo di estendere il discorso sui diritti a tutti gli esseri umani, dall’altro lato è venuto emergendo il bisogno del riconoscimento della diversità che caratterizza gli individui e le loro vite. Temi questi che si ritrovano nelle analisi contenute nei contributi di Luca Baccelli (pp. 23-44) e di Francescomaria Tedesco (pp. 45-60).
È stato Norberto Bobbio (1909-2004), spiega Tedesco, che per primo ha spostato l’attenzione dalla dottrina dei diritti naturali alla questione del consenso politico come possibile fondamento dei diritti.
La Carta di San Francisco del 1945 e, tre anni dopo, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, da un lato hanno segnato l’avvio di quella che lo stesso Bobbio ha definito con un’espressione epigrammatica «l’età dei diritti»[6], mentre dall’altro lato hanno rivelato, come è noto, la debolezza di una qualunque ricerca di fondamenti universalistici o assoluti cui richiamarsi quando si cerca di giustificare la legittimità dei diritti umani. Anzi, proprio l’esperienza di quelle proclamazioni ha rivelato che i diritti umani sono “situati” non solo nel tempo, ma anche nello spazio.
Sotto questo profilo, si pensi al delinearsi negli ultimi decenni della questione dei cosiddetti Asian values, con i quali si è tentato di elaborare una visione dei diritti e dei valori alternativa a quella offerta dai documenti promossi dai Paesi occidentali. Emblematica è la Dichiarazione di Bangkok del 1993. In particolare, in tale dichiarazione in discussione sono l’universalità e l’indivisibilità dei diritti sanciti dalla Dichiarazione del 1948: ad esempio, viene data preminenza ai diritti economici, sociali e culturali rispetto a quelli civili e politici. E, inoltre, si ribadisce che l’ultima parola intorno ai diritti umani spetta alla domestic jurisdiction.
Luca Baccelli, partendo dall’esperienza zapatista che ha avuto luogo in Messico a partire dal 1993 – attraverso la quale si è assistito alla rivendicazione di diritti particolari e comunitari degli indigeni di contro ai valori imposti nello Stato Messicano dalla globalizzazione e dal neoliberismo – ricostruisce le principali tappe del discorso sui diritti umani maturato intorno all’esperienza coloniale europea nel nuovo mondo nei secoli XVI e XVII. È proprio in questa cornice, quella coloniale, che si assiste alla prima formulazione di una teoria dei diritti soggettivi – diritti, cioè, che spettano a ogni singolo individuo, naturali o universali – che è alla base delle Carte dei diritti dei Paesi occidentali. L’autore di questa teoria, Francisco de Vitoria (1483-1546), estendendo valori di matrice europea ai nativi, intese peraltro dotare di un solido fondamento la sua teoria della “guerra giusta”, tornata in anni recenti di grande attualità, grazie anche a Michael Walzer[7] (pp. 34-37). Che la guerra sia uno strumento per imporre il rispetto dei diritti suscita non poche perplessità, proprio per le aporie o, meglio, per le contraddizioni che questa tesi produce, come argomenta lo stesso Baccelli.
Di contro al diritto alla guerra, lo ius ad bellum, un discorso a parte andrebbe fatto invece a proposito dello ius in bello, cioè del rispetto dei diritti nella guerra, un tema di grande rilevanza su cui si sofferma il saggio di Isabel Trujillo (pp. 61-71). Il «diritto umanitario», il cosiddetto diritto di Ginevra e dell’Aia, al pari del «diritto dei diritti umani», è stato pensato per gli individui, per le persone, per il loro benessere, per la loro sopravvivenza. Tale diritto tiene conto delle vittime dei conflitti armati, ha come fine quello di proteggere dall’estrema vulnerabilità che i contesti di guerra sono capaci di creare[8], e opera nella più assoluta neutralità: in questo senso esso è – come argomenta l’autrice – veramente “universale”.
Ora, sembra che sia proprio la presenza di contesti critici, nei quali la protezione dei diritti si fa più difficile se non impossibile, una delle cause per cui a livello internazionale si è tracciata una distinzione sul grado di “urgenza” di alcuni diritti rispetto ad altri: ben note, in proposito, sono le riflessioni sviluppate in opere come Il diritto dei popoli di John Rawls, (2001) e come Una ragionevole apologia dei diritti umani di Michael Ignatieff (2003)[9].
Più in generale, è noto che le difficoltà di ordine materiale rendono un po’ ovunque difficile oggi, in ogni società, la protezione della persona nelle sue molteplici dimensioni, al punto che si è giunti alla formulazione della dicotomia «proliferazione/minimalismo dei diritti»[10], intorno a cui da qualche anno si discute. Da un lato, la globalizzazione e le trasformazioni che si sono registrate negli stili di vita hanno fatto sorgere sempre nuovi, inediti, diritti; dall’altro lato, si è preso atto della difficoltà di dar seguito alla sempre più diffusa richiesta di un miglioramento delle condizioni di vita, a tutti i livelli dell’ordine sociale[11].
Quello ora introdotto è un altro tema che ha rilievo nel libro curato da Casadei, e che è del resto al centro della sua stessa analisi sulla condizione dei soggetti deboli e vulnerabili (pp. 90-116). Come egli fa notare, il minimalismo, nella sua aspirazione a voler garantire una protezione universale, seppur minima, dei diritti, in realtà manca il suo obiettivo proprio perché trascura i soggetti più deboli e vulnerabili. Esso, infatti, presuppone un individuo autonomo e autosufficiente, il cui unico vero bisogno è quello di non incontrare ostacoli alla sua azione. Un tale approccio, inoltre, presuppone che tutti gli uomini siano uguali, non tenendo conto delle differenze reali che riguardano gli individui nei diversi contesti, ovvero considera il soggetto di diritto astratto e non situato.
Il suggerimento di Casadei, che poi mi sembra dia conto dello spirito stesso del libro, è invece proprio quello di ridisegnare l’idea di universalità partendo “dal basso”, proprio dalle condizioni, concrete e situate, di disuguaglianza e vulnerabilità.
I recenti studi sulla «differenza razziale», sul «genere» o sulla «disabilità»[12], ad esempio, danno conto di un approccio allo studio dei diritti e dei diritti umani che tenga conto dei fatti, in cui rilevino, ad esempio, le discriminazioni e i limiti effettivi imposti alla capacità di agire di ogni persona, concepita nella sua specificità e particolarità. In questa prospettiva, la proliferazione dei diritti non dovrebbe essere vista come un male o come un ostacolo alla loro implementazione: essa semplicemente dà conto dell’ampliamento della sfera dei soggetti cui va garantita una protezione e, inoltre, richiama il carattere aperto che il diritto dovrebbe avere, il fatto che non si può dire, una volta per tutte, quali e quanti bisogni gli esseri umani debbono avere.
Tutte queste considerazioni portano anche a riflettere su un altro tema che è sotteso all’intero volume, vale a dire quello della dignità delle persone, affrontato approfonditamente da Francesco Belvisi (pp. 72-89). Come quest’ultimo spiega, della dignità si sente parlare troppo spesso in termini ontologici, ossia nei termini di una caratteristica costitutiva dell’uomo, ad esso connaturata. Questa concezione della dignità, carica di senso morale, è stata recepita anche nei trattati sui diritti o nelle carte costituzionali sorte nel secondo dopoguerra, delle quali quella tedesca costituisce un significativo esempio.
A questa presupposizione del valore delle persone, tuttavia, spesso non fanno seguito nei fatti una protezione e un rispetto effettivi, o comunque, in altri termini, un’immagine siffatta di dignità non riflette il significato giuridico o sociale-relazionale che pure il concetto concretamente riveste.
Tale significato si rinviene, invece, secondo l’autore, nella Costituzione italiana, la quale sembra suggerire in alcuni sui punti (specialmente attraverso l’articolo 3 relativo all’uguaglianza) che accanto al significato assoluto della dignità delle persone vi è anche un significato che è relativo, riferibile a uomini concreti e situati, incentrato sul riconoscimento sociale e relazionale.
La figura del lavoratore oggi più di ogni altra esemplifica questa nozione di dignità. L’articolo 3 sembra suggerire che non è sufficiente il riconoscimento di diritti in capo all’individuo, ma è necessario riconoscere che la dignità può essere lesa sul piano fattuale e che dunque occorre avere di mira la rimozione degli ostacoli che impediscono di avere una vita dignitosa (pp. 82-89).
La messa a punto della nozione dei «soggetti in contesto» e della «dignità umana intesa in relazionale» conduce alla seconda parte dei saggi del volume, quella in cui sono ritratte alcune figure di soggetti vulnerabili partendo dalla loro condizione sociale e giuridica, sovente caratterizzata da violazioni.
Un ritratto generale della condizione femminile, con particolare riguardo all’Italia, è offerto da Orsetta Giolo (pp. 119-142), nel contributo della quale si rilevano, ad esempio, i temi della cittadinanza e dei diritti delle persone migranti[13], nonché quelli, attualmente molto scottanti, del «femminicidio»[14] e delle diverse forme di violenza di cui le donne sono vittime.
Giampiero Griffo (pp. 143-163) si sofferma invece sul nodo della dignità e dei diritti umani con riguardo alle persone con disabilità, esaminando la nuova normativa internazionale in materia, la quale risulta incentrata – a partire dalla Convenzione di New York del 2006 – sul concetto di inclusione sociale.
Davide Guerzoni (pp. 164-186) esamina il tema della povertà globale così come esso è stato affrontato nell’opera di Thomas Pogge, il quale, rielaborando le tesi rawlsiane sulla giustizia[15], ha cercato di fare i conti con questa materia mettendo a fuoco precise «responsabilità» e proponendo alcune possibili riforme su scala planetaria.
Marco Scarpati (pp. 197-226) prende in considerazione un tema anch’esso di rilevanza mondiale e strettamente connesso a quello della povertà: la questione della schiavitù dei bambini e del loro sfruttamento sessuale. Si tratta di una vera e propria piaga contro cui, a partire dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1996, la comunità internazionale ha deciso di finalmente di occuparsi con atti concreti, che presuppongono non solo azioni istituzionali, ma anche un impegno da parte della società civile.
Il tema del “neo-schiavismo” è al centro anche dell’analisi di Emilio Santoro (pp. 227-248): egli si sofferma in particolare sui migranti e sulle loro condizioni di lavoro, spesso connotate dallo sfruttamento e dalla totale assenza di protezione e di diritti. Si tratta di un problema sul quale all’interno delle società occidentali converrebbe riflettere più approfonditamente, visto anche il largo uso che in esse viene fatto della manodopera che proviene dall’immigrazione, ma – come è ormai noto – le nuove schiavitù si rafforzano proprio nello “spazio invisibile” dell’illegalità[16].
Circa la materia della condizione dei minori, in particolare stranieri, e dei loro diritti, connessi alla controversa questione dell’acquisizione da parte loro della cittadinanza, riflette Nazzarena Zorzella (pp. 249-268), soffermandosi sul caso italiano, ma interpretandolo alla luce della normativa internazionale. Eufemia Milelli (pp. 269-284), dal canto suo, esamina il caso dei minori stranieri con specifico riferimento al sistema penale e alla carcerazione.
Sempre con riferimento al contesto italiano, Letizia Mancini (pp. 187-196) indaga l’annosa questione dello status dei rom, e delle discriminazioni cui sono soggetti, aggravate dalla presenza di un diritto che non favorisce, e anzi ostacola, l’inclusione sociale e che finisce col violare, sovente, alcuni diritti umani fondamentali.
Un aspetto che emerge dalla trattazione nel suo complesso è che le violazioni a volte possono intersecarsi, gravare sugli stessi soggetti, e ciò perché su una stessa persona possono convergere due o più caratteristiche escludenti; e così la disabilità può intersecarsi con fattori legati alla discriminazione razziale o etnica, oppure all’essere donna, lavoratrice, migrante allo stesso tempo: si può, in altri termini, essere discriminati per due o più motivi, e subire più generi di privazioni e di mancata garanzia di diritti umani. È un aspetto, questo, che aggrava senza dubbio la condizione di vulnerabilità dei soggetti coinvolti, e in risposta alla quale occorre impegnarsi – da parte di istituzioni, come pure di organizzazioni, associazioni e cittadini – a costruire buone pratiche, oltreché naturalmente buone leggi.
[1] Si vedano, a questo proposito, S. Vida (a cura di), Diritti umani. Trasformazioni e reazioni, Bologna, Bononia University Press, 2008; A. Pisanò, I diritti umani come fenomeno cosmopolita. Internazionalizzazione, regionalizzazione, specificazione, Milano, Giuffrè, 2011; E. Pariotti, I diritti umani. Concetto, teoria, evoluzione, Padova, Cedam, 2013 (che riprende e rielabora le tesi contenute in E. Pariotti, I diritti umani. Tra giustizia e ordinamenti giuridici, Torino, Utet, 2008). Cfr., anche, A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007; G. Giliberti, Introduzione storica ai diritti umani, Torino, Giappichelli, 2012.
[2] Con riferimento al dibattito italiano, per una trattazione recente che fa il punto in maniera sistematica su «universalismo» e «particolarismo», si veda, per esempio, L. Marchettoni, I diritti umani tra universalismo e particolarismo, Torino, Giappichelli, 2012. Sul «relativismo», si veda, da ultimo, il fascicolo monografico della rivista «Ars Interpretandi», n. 2, 2012: Relativismo: significati e contesti.
[3] Per una visione d’insieme, si possono vedere Th. Casadei (a cura di), Lessico delle discriminazioni: tra società, diritto e istituzioni, Reggio Emilia, Diabasis, 2008, e R. Cammarata, Indigeno a chi? Diritti e discriminazioni allo specchio, Torino, Giappichelli, 2012. Si veda anche C. Bartoli, Razzisti per legge. L'Italia che discrimina, Roma-Bari, Laterza, 2012.
[4] Cfr., a titolo esemplificativo, I. Khan, Prigionieri della povertà. La nuova sfida dei diritti umani: storie dal mondo (2009), Milano, Bruno Mondadori, 2010.
[5] Su questi aspetti, si vedano, ad esempio, I. Maus, Diritti umani, democrazia e organizzazione globale (2008), tr. it. e cura di L. Ceppa, Torino, Trauben, 2009; R. Kreide, Politica globale e diritti umani. Potenza e impotenza di uno strumento politico (2008), tr. it. e cura di E. Zoffoli, Torino, Trauben, 2010.
[6] N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1992. Cfr. M.A. Glendon, Verso un mondo nuovo: Eleanor Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Macerata, Liberilibri, 2008.
[7] Sul pensiero del quale, si può vedere l’ampia monografia di Th. Casadei, Il «sovversivismo dell'immanenza». Diritto, morale, politica in Michael Walzer, Milano, Giuffrè, 2012, ove il cap. IX è integralmente dedicato al dibattito degli ultimi decenni in tema di «guerra giusta» (pp. 587-644).
[8] Cfr., sul punto, M. Simoncelli (a cura di), Dove i diritti umani non esistono più: la violazione dei diritti umani nelle guerre contemporanee, Roma, Ediesse, 2010.
[9] Per un’ampia discussione delle tesi di Ignatieff, si veda il Forum organizzato su «Jura Gentium», a cura di L. Marchettoni: https://www.juragentium.org/forum/ignatief/index.htm. Per una trattazione congiunta dei due autori si veda L. Baccelli, I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 59-63.
[10] Si veda, a titolo esemplificativo, il fascicolo monografico di «Ragion pratica», n. 31, 2008, dedicato appunto a «Il futuro dei diritti: proliferazione o minimalismo?».
[11] Su questi profili, si veda W. Doise, Confini e identità: la costruzione sociale dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2010.
[12] Il riferimento è alla Critical Race Theory, nonché ai Gender e ai Disability Studies.
[13] Su questi temi della stessa autrice, si veda anche Diritti e culture. Retoriche pubbliche, rivendicazioni sociali, trasformazioni giuridiche, Roma, Aracne, 2012, specie la Parte I (pp. 23-99).
[14] Si vedano, al riguardo, P. Degani, Diritti umani e violenza contro le donne. Recenti sviluppi in materia di tutela internazionale, in «Quaderni del Centro di studi e di formazione sui diritti dell’uomo e dei popoli», n. 2, 2000, e B. Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano, Franco Angeli, 2008.
[15] Cfr. Th. Pogge, Un approccio universalistico in tema di giustizia internazionale, in «Ars Interpretandi», 6, 2001, pp. 51-78.
[16] Come ha mostrato puntualmente l’opera ormai classica su questi temi di Kevin Bales: I nuovi schiavi. La merce umana nell’economia globale (1999), Milano, Feltrinelli, 2000 (titolo originale dell’opera, Disposable People: New Slavery in the Global Economy). Dello stesso autore si veda, anche, Ending Slavery. How We Free Today’s Slavery, Berkeley, University of California Press, 2007. Per il contesto italiano, cfr., per esempio, D. Mancini, Traffico di migranti e tratta di persone: tutela dei diritti umani e azioni di contrasto, Milano, Franco Angeli, 2008.