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Thomas Casadei, Il sovversivismo dell’immanenza. Diritto, morale, politica in Michael Walzer

Milano, Giuffrè Editore, 2012, pp. 687.

Giorgio Scichilone | Università di Palermo, Italia

 

Presentare Michael Walzer è solo apparentemente semplice. La sua notorietà nel dibattito scientifico e accademico parrebbe incoraggiare ad esimere da un tale obbligo. L’ampiezza della sua erudizione, che gli consente di manovrare e far interagire più registri scientifici, e il vasto raggio dei suoi interessi intellettuali, la stessa rilevanza dei suoi interventi nel dibattito pubblico americano (e per estensione europeo e occidentale), fanno dell’intellettuale statunitense di origine ebraica una figura eminente e influente della cultura contemporanea e, al tempo stesso, ci dicono come sia complicato accostarsi a un simile studioso tentandone una semplificazione soddisfacente. Thomas Casadei, uno dei maggiori esperti di Walzer su scala internazionale, mette in campo un tale sforzo con una meticolosa monografia, il cui titolo anticipa un’interpretazione ampia e articolata dell’opera walzeriana.

L’engagement di Walzer, il suo impegno pubblico nella discussione più ampia e aperta di quella accademica e scientifica sui temi spinosi della politica, diviene una forma di partecipazione dell’intellettuale alle dinamiche del potere che attraversano la società, i suoi conflitti e le sue aporie. Si potrebbe dire un’empatia con il proprio contesto e il proprio tempo, che fa dello sguardo critico e dell’analisi teorica gli strumenti precipui e qualificati dell’intellettuale, un’assunzione di responsabilità etica rispetto alle questioni urgenti e cruciali della società.

Non è un caso che il libro di Casadei si apra ponendo in evidenza come ci sia in Walzer quella propensione ad uscire da un «troppo rarefatto rapporto con i concetti e i testi filosofici, e a misurarsi criticamente con problemi e situazioni reali, con le tensioni del vivere associato e della politica». Se volessimo descrivere il ruolo che Walzer immagina per l’intellettuale, sarebbe comodo ricorrere all’abituale metafora della torre d’avorio per sostenere come in quel dorato rifugio l’accademico decide di non rifugiarsi. Questa immagine potrebbe essere più opportunamente sostituita con un’allegoria biblica (patrimonio culturale assai familiare a Walzer), ovvero quella che descrive la tranquillità della tenda posta in alto sul monte, distante dalla città e i suoi rumori, una solitudine che attrae l’uomo contemplativo e lo tenta ad appartarsi dal mondo per non mischiarsi con gli affari quotidiani della piazza e dell’agorà, del mercato e della politica, cioè, in altri termini, con il caos lacerante delle scelte. Ma è la città il destino dell’intellettuale, il luogo nel quale chi coltiva la ricerca deve misurare le proprie teorie e incarnare le riflessioni, esattamente là dove vengono assunte decisioni che ricadono sulla comunità e sulla vita degli individui. Sono i temi «dilemmatici» con i quali Walzer si è confrontato nel suo lungo itinerario di studioso, perché è il conflitto morale che nasce tra opzioni valoriali differenti se non alternative, dando vita a una pluralità di possibili corsi di azione, il terreno nel quale il filosofo è chiamato a offrire un contributo di pensiero critico. Così si dipanano questioni che hanno caratterizzato il dibattito scientifico e pubblico contemporaneo: la disobbedienza civile, le modalità del cambiamento politico, il ruolo dell’intellettuale (e della critica) nella società, l’eguaglianza e la giustizia distributiva, la cittadinanza, la convivenza tra gruppi e identità culturali diverse, la tolleranza, il relativismo e il pluralismo, la guerra. Temi che discendono da un criterio, quello dell’attenzione al «mondo reale» e alla «concretezza» rivendicato espressamente da Walzer, in cui la centralità della vita activa si impone sulla speculazione astratta, o erudita e autoreferenziale, e che, a riprova di ciò, potrebbero – ciascuno di essi – essere perfino abbinati a eventi concreti e a contesti sociali precisi della vita politica dalla seconda metà del Novecento in poi. Basti pensare, per fare un esempio tipico a cui Casadei dedica un intero capitolo, ai temi scottanti sulla guerra in corrispondenza dei casi in cui sono scoppiati conflitti bellici in cui si intrecciavano interessi economici e (supposti) conflitti di civiltà, come la guerra del Golfo (1991), quella del Kosovo nel 1999, o l’intervento in Afghanistan del 2002 a seguito dell’11 settembre 2001. Dibattiti che hanno investito governi e opinione pubblica rispetto a guerre ‘nuove’ avvenute dopo la fine dei blocchi della Guerra Fredda.

Di qui anche una originale metodologia teorica e ‘storiografica’, paragonabile ad altre importanti rivoluzioni ermeneutiche del linguaggio e dei testi politici nel campo della storia intellettuale che hanno consegnato ipotesi di comprensione delle idee politiche più plausibili rispetto ad analisi di opere svincolate dagli ambienti culturali e pratici in cui venivano pensate e prodotte. Acutamente Casadei evidenzia una simile caratteristica di Walzer. Fedele all’idea di una teoria aderente ai fatti reali, Walzer infatti coglie e valorizza una produzione di lessico politico che potremmo definire militante e fluido (delle assemblee, della protesta, delle marce, della mobilitazione, dell’associazionismo…) e che, escluso dalla ricostruzione interpretativa del teorico e dello storico (come spesso è escluso dalla distribuzione di potere e dalla allocazione di beni), sfalsa l’analisi delle problematiche prese in esame, condannando la successiva riflessione intellettuale ad una parzialità scientifica e, questo è il sospetto, ideologica.

Lungo questa linea, Walzer ha consegnato al lettore della nostra epoca, un’epoca che ha visto in pochi decenni un’evoluzione e una velocità di cambiamento quale mai prima si era verificata da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra, testi che ormai rappresentano dei veri e propri classici della teoria politica, della filosofia pratica e del diritto, della storia del pensiero politico.

Così, per avere la percezione di come quella di Walzer sia stata ed è una voce di riferimento nella cultura politica di questa epoca, basta evocare i titoli di libri come The Revolution of the Saints: A Study in the Origins of Radical Politics del 1965, dove viene studiato il contesto ideologico e politico della vicenda dalla quale è derivato il costituzionalismo occidentale, vale a dire la condanna a morte di Carlo I Stuart da parte di una corte di giustizia rappresentativa del popolo, evento epocale e inedito della modernità politica; o Just and Unjust Wars (1977), probabilmente uno dei maggiori testi del Novecento sulla guerra, che ripercorre attraverso i casi storici e letterari (dal Dialogo dei Meli alla guerra in Vietnam fino alla deterrenza nucleare), le teorie sulla “guerra giusta”, le sue giustificazioni, il problema della responsabilità morale delle decisioni belliche e così via; o, ancora, studi come Spheres of Justice del 1983 in cui si affrontano i temi dell’uguaglianza e della società giusta, o Exodus and Revolution, apparso nel 1985, un piccolo ‘capolavoro’ sul paradigma biblico sull’emancipazione delle classi e dei popoli oppressi. Testi che hanno toccato, a partire spesso da ‘occasioni’ specifiche e particolari, i temi perenni ed universali della giustizia e dell’obbligazione da cui derivano tutte le altre questioni ‘politiche’.

Ma tutto questo sarebbe solo l’incipit per dare conto della fatica di Casadei. È nel titolo felice della sua monografia che è possibile ricavare la proposta interpretativa di un autore così poliedrico e originale. Se sono il diritto, la morale e la politica le direzioni su cui si è rivolta la curiosità intellettuale e la ricerca filosofica e storiografica di Walzer, nell’espressione the subversiveness of immanence Casadei ha trovato il modo di indicare quella che gli sembra la cifra ermeneutica di questo intellettuale militante: «‘Sovvertire’ – con i correlati dello stesso campo semantico, ‘sovversione’, ‘sovvertimento’, ‘sovversivismo’, ‘sovvertitore’ – può voler dire “sconvolgere e mutare profondamente l’ordine politico e sociale vigente”, venendo a sovrapporsi con il lemma ‘rivoluzione’, sennonché entrambi i concetti possono significare sia ‘rovesciare con la forza’ sia ‘cambiare progressivamente in maniera radicale’: è in questa possibile lettura differenziata che si gioca del resto la connotazione del termine ‘rivoluzione’ nell’opera di Walzer. Essa, così come il sovversivismo, rinvia ad una trasformazione potenzialmente anche radicale ma che si dà, a partire dal rispetto del contesto, dal dato immanente, come mutamento profondo, anziché come totale rovesciamento».

 

ISSN 0327-7763  |  2015 Araucaria. Revista Iberoamericana de Filosofía, Política y Humanidades  |  Contactar